L'analisi

Conoscere la storia ci aiuti nel percorso di critica del passato

Leo Lestingi

Ottant’anni fa, furono aperti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz: da quel momento, il mondo conobbe l’orrore della Shoah, il progetto nazista di sterminio del popolo ebraico, ma anche delle minoranze Rom e Sinti, degli oppositori politici, delle persone omosessuali e dei disabili

Ottant’anni fa, furono aperti i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz: da quel momento, il mondo conobbe l’orrore della Shoah, il progetto nazista di sterminio del popolo ebraico, ma anche delle minoranze Rom e Sinti, degli oppositori politici, delle persone omosessuali e dei disabili. Il dovere di fare memoria, oggi che i testimoni di quella pagina tragica della storia dell’umanità stanno pian piano scomparendo, è ancora più necessario, affinché la storia non diventi strumento di manipolazione politica. Ma quali sono i rischi che corre oggi la memoria, in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale riesce a creare contenuti realistici, e circolano fake news, fake stories e riletture del passato?

Cominciamo col dire che fare memoria non significa semplicemente ricordare, ma anche e soprattutto fare critica del passato; vuol dire selezionare, discernere cosa ricordare e cosa dimenticare, e come ricordare. Per muoverci consapevolmente nel presente e attrezzarci contro manipolazioni e falsificazioni, conoscere il passato come una mera successione di eventi non basta, per la semplice ragione che gli eventi, nel momento stesso in cui accadono, diventano oggetto di ricordi, rappresentazioni, memorie. Che vanno prese seriamente. Perché non sono tanto gli eventi in sé a orientare gli sviluppi storici successivi, ma proprio le storie e le rappresentazioni che degli eventi vengono date e elaborate, dai diversi gruppi coinvolti, nel corso del tempo e dello spazio.

Le memorie diventano bacini di senso e motori dell’azione per il presente e il futuro, purtroppo spesso e volentieri in chiave conflittuale, come tragicamente dimostrano oggi tanto il conflitto russo-ucraino, quanto quello israelo-palestinese.

Occorre, allora, interrogarsi sui significati del passato, ricostruirne e decostruirne racconti e rappresentazioni, tentando di distinguere le interpretazioni frutto del fisiologico adattamento della memoria alle esigenze di senso del presente, e le falsificazioni riconducibili a politiche della memoria a fine propagandistico; e questo impegno può contribuire a dotarsi degli anticorpi contro le falsificazioni e le mistificazioni del passato da cui siamo spesso bombardati. A proposito del conflitto che si sta consumando fra Israele e Palestina, sia quest’ultima che il primo hanno chiamato in causa la Shoah, come metro di paragone o come mònito rispetto alla guerra in corso: una banalizzazione della memoria della Shoah, che rischia di esporre gli ebrei a nuove (false) accuse, una forma di cannibalismo simbolico in cui alle vecchie accuse si aggiunge quella di godere di una presunta rendita di posizione da cui altri popoli, con le loro sofferenze, sarebbero esclusi; oppure rovesciando, in nome della Shoah, l’accusa di perpetrare su altri popoli quelle stesse sofferenze che essi hanno un tempo ingiustamente subito.

Diversi studiosi e storici contemporanei, da Marianne Hirsch a Enzo Traverso, hanno messo in guardia dall’utilizzo di paragoni storici fra i due eventi, perché confondono la gravità dell’uno con la gravità dell’altro, e viceversa. La collocazione dell’Olocausto in cima alla scala dei crimini universali e la sua sclerotizzazione simbolica come trauma universale hanno l’effetto di ostacolare, invece che contribuire a chiarire, la conoscenza della guerra in corso a Gaza, con le sue specificità e contingenze; e soprattutto distolgono dal cuore del conflitto: le persone, le famiglie, la vita umana. Fare a gara a chi sia stato più vittima in passato e chi dunque sia o si ritenga più legittimato a fare la guerra oggi, non fa che innescare ulteriori violenze. A fronte di questo uso strumentale e deleterio della Shoah come supposta ragione storica di conflitti presenti, è fondamentale continuare a coltivarne la memoria come occasione di solidarietà umana, di resistenza attiva e cosmopolita. E forse anche di speranza.

Privacy Policy Cookie Policy