L'analisi
Altro che autonomia, l’Italia ha bisogno di un grande progetto
Una sentenza ammazza-riforma Calderoli quella della Corte Costituzionale. No al «regionalismo duale», sì al «regionalismo comparativo» ha detto la Consulta
Una sentenza ammazza-riforma Calderoli quella della Corte Costituzionale. No al «regionalismo duale», sì al «regionalismo comparativo» ha detto la Consulta: l’Autonomia differenziata non può fare in ventuno pezzi il Paese, non deve dividere quello che la Costituzione ha voluto unito e semmai articolato, in vari territori. Non può innalzare muri tra le Regioni italiane, come avrebbe fatto nella stesura bocciata, consentendo a ciascuna di assumere competenze esclusive. Nelle motivazioni del tribunale delle leggi, che ha dichiarato illegittimi 13 punti della 86/2024 (e cinque commi della Finanziaria 2023 sui Livelli essenziali di assistenza), si ribadisce il principio della leale collaborazione tra Stato e Regioni, nell’attuazione del dettato costituzionale e dei diritti riconosciuti dalla Carta.
Le motivazioni del pronunciamento della Corte, il 14 novembre, sul ricorso delle Regioni Campania, Puglia, Sardegna, Toscana contro la legge Calderoli, dimostrano che la sentenza è ancora più pesante dei 7 punti anticipati nel comunicato stampa, diffuso tre settimane fa da Palazzo della Consulta. Va ben oltre i sette profili di illegittimità evidenziati (dai Lep alle aliquote sui tributi) e richiama la competenza del Parlamento - finora messo in disparte in materia dal Governo Meloni - sulle parti superstiti del testo, che andrebbero comunque riviste dalle Camere, secondo una «lettura costituzionalmente orientata».
Da qui derivano alcune considerazioni, aggiungendo che intanto va registrato il primo via libera della Cassazione ai referendum abrogativi proposti dall’opposizione di centrosinistra, che ha raccolto le firme degli elettori e depositato le richieste di cinque Regioni (sempre Puglia compresa). Con ordinanza, ha dato il via libera iniziale, unificandoli. La pronuncia definitiva arriverà a breve, entro il 15 dicembre, dopo le motivazioni della Consulta.
Sul fronte opposto, gli autonomisti a tutti i costi, per voce del ministro Calderoli e del presidente della Regione Veneto, giocano con le parole, per non ammettere la sconfitta. Basta leggere Zaia. Ha detto che la legge non esce sconfitta dalla sentenza. Per il governatore non è un indietro tutta: la Corte ha posto l’esigenza di una correzione. Per questo, le Regioni interessate andranno avanti (quelle del Lombardo Veneto a trazione padana). Tuttavia, lui stesso sembra poco convincente, perché affatto convinto: in effetti la Corte è stata fin troppo chiara, non solo ha bocciato la legge Calderoli, ha pure sollevato ben venticinque osservazioni, nelle 109 pagine del dispositivo.
Ha negato, tra l’altro, che l’Autonomia possa riguardare funzioni intrasferibili senza ledere il principio di sussidiarietà. Si tratta dell’istruzione - avrebbe voluto dire creare una scuola diversa per ogni Regione, come abbiamo sempre ripetuto - e poi commercio estero, ambiente, energia, porti, aeroporti, telecomunicazioni e professioni. È accettabile per la Corte una «concorrenza» regionale tesa a elevare le prestazioni pubbliche nei territori, ma incrementare le differenze tra regioni finirebbe per minare la parità dei diritti dei cittadini, che devono essere uguali in ogni parte del Paese, da Cogne a Lampedusa. E poi, a respingere al mittente gli egoismi padano-celtici, cala come una mannaia lo stop della Consulta al progetto di prendersi i soldi dei servizi trasferiti e scappare con il bottino, lasciando al Mezzogiorno i panni sporchi.
Mi sembra di rileggerci in queste note della giurisprudenza costituzionale e tanto hanno concorso al successo del fronte del «no» i punti rilevati nel ricorso della Puglia (sviluppati dal prof. Massimo Luciani e dall’avv. Rossana Lanza).
Il centrosinistra festeggia, le destre sono sotto scacco, per l’ennesima riforma finita ai margini, ma Calderoli, Zaia e le Regioni padane non vogliono mollare, cercheranno di giocare comunque la loro partita, anche dopo il fischio dell’arbitro. Anche noi non dobbiamo abbassare la guardia, cominciando con il considerare che con la centralità restituita dalla sentenza costituzionale il Parlamento finora negletto torna protagonista in materia di autonomia differenziata.
Certo, l’Autonomia va organizzata, rivista dalla parte dei cittadini e non del potere, secondo la visione di Bobbio. A questo saranno chiamati Camera e Senato, in virtù della sentenza. Però, perché insistere nel tentare di rianimare una riforma strangolata dalla suprema Corte, se c’è tanto di più urgente e veramente decisivo da fare, nell’interesse del Paese? A cominciare dal garantire la mai pienamente realizzata unità dei cittadini dal Nord al Sud e dall'intervenire sui problemi più urgenti ed emergenti.
Ad esempio, la denatalità. Le coppie in Italia non mettono al mondo nuovi nati, in numeri tali da rallentare l’invecchiamento progressivo. Bari è esemplare. Il Documento di programmazione dell’attività amministrativa del Comune si confronta con una fase demografica regressiva: popolazione sempre più anziana e nuovi nati in costante diminuzione. Nei prossimi tre anni, per ogni bambino ci saranno due anziani. Insostenibile. Ed oltre alle mancate nascite c'è un altro pesante fattore a danno del Sud: i giovani che non trovano lavoro e abbandonano il Mezzogiorno, andando al Nord e molti all’estero.
Ecco i veri argomenti che dovrebbero impegnare la politica e il Parlamento, altro che la riforma Calderoli affossata. Se non si affronta la desertificazione umana dell’Italia intera - soprattutto nel Sud - cosa vuoi andare a pensare alle materie da decentralizzare nelle Regioni? Non sono quelle la priorità, potranno semmai arrivare sul tavolo molto dopo aver risolto questioni di carattere sociale, demografico, sociologico. Non si va da nessuna parte, se non si comprendono i perché della denatalità, dell’incertezza del lavoro per i giovani, soprattutto nel Sud, dell’esodo di cervelli e ed energie giovani.
Al bando l’Autonomia differenziata, le Camere devono avviare un serio approfondimento e agire normativamente di conseguenza, nel rispetto delle proprie funzioni e responsabilità, per guarire in profondità i mali che affliggono la nostra società e il nostro Paese. Sono, tra gli altri, l’assenza di abitazioni per le giovani coppie, di certezze nel lavoro che non consentono ai giovani di sottoscrivere un mutuo per acquistare una casa, l’assenza di asili nido che costringono le donne a rinunciare alla maternità, visto che se restano incinte rischiano di perdere il posto.
Non servono chiacchiere, ma un piano straordinario per il Paese, che veda governo, Parlamento, Regioni, istituzioni affrontare e risolvere i problemi: la crisi dell'industria nazionale (Stellantis e Ilva, decine di migliaia di posti di lavoro a rischio); la difesa del suolo (il territorio fragile va curato); l’infrastrutturazione moderna del Mezzogiorno da portare a livello europeo; la sanità, con le sue tante esigenze; non ultimo, un programma di edilizia per le famiglie più deboli e giovani. Dalla bocciatura di una follia egoista, deve nascere la speranza e poi la certezza di un futuro migliore per l'Italia.