il commento

Ecco il mercato della sanità dove chi è ricco si cura, chi è del nord si cura meglio

Lino Patruno

Sono passati 46 anni dalla legge 833 del 23 dicembre 1978 con la quale veniva istituito appunto quel Servizio Sanitario Nazionale che il mondo ci invidiava

La salute? È come la bresaola. Se hai soldi te la compri, se non ne hai ti compri la mortadella o non ti compri niente. Quindi la salute è una merce da vendere o comprare come al mercato. Ma come, non dovrebbe essere gratuita? E se non ho soldi sufficienti, che faccio, muoio prima di chi i soldi li ha? Esatto. Ma dai, ho sempre saputo che la nostra sanità è universale: non vuol dire che è per tutti? E ho sempre saputo che è equa, quindi sia per i ricchi che per i poveri: non è più così? Il fatto è che non si dovrebbero dare queste risposte. Anzi non si dovrebbe essere costretti a fare queste domande. Eppure tutto rischia di scivolare così, come una barca da pesca lasciata andare «triste triste», senza àncora e affidata alla corrente.

Sono passati 46 anni dalla legge 833 del 23 dicembre 1978 con la quale veniva istituito appunto quel Servizio Sanitario Nazionale che il mondo ci invidiava: vedi per esempio gli Stati Uniti, dove se non hai un’assicurazione devi solo recitare un’Ave Maria. Ma non si può non parlare di bresaola quando si scopre che quattro milioni e mezzo di italiani non si curano più perché non possono, nel Paese in cui la Costituzione dice che la salute è un diritto fondamentale della persona.

E non si può neanche non parlare di bresaola per figli e figliastri quando si scopre che due terzi di quei quattro milioni e mezzo sono del Sud (quasi uno su dieci, in Puglia l’8,4 per cento). Dove per questo la vita media è scesa a 82,8 anni rispetto agli 83,1 del resto del Paese. Differenza di tre mesi, suvvia, ma ribaltata rispetto a un passato in cui al Sud si stava peggio, è vero, ma si viveva di più e meglio.

Ci deve essere un motivo per cui i più grandi fondi finanziari del mondo investono sulla sanità in Italia. Sulla sanità privata, dove si fanno più affari che vendendo auto. È questo il business del momento, come hanno capito anche (e sempre prima) le mafie. Sanità privata ormai quasi il 50 per cento di tutta la mitica sanità nazionale equa e universale eccetera eccetera. In un Paese che sulla quella mitica sanità pubblica eccetera eccetera spende meno del resto d’Europa: 52,4 miliardi di euro all’anno e 889 euro a persona.

In un Paese in cui la salute pagata di tasca propria dai cittadini nel 2023 è aumentata del 10,3 per cento, 3,8 miliardi in più del 2022. E in un Paese in cui tutto lascia credere che quanto non funziona nella sanità pubblica non sia casuale ma finalizzato a dirottare sulla privata. A comprare insomma bresaola o mortadella o a morire di fame.

È stata come sempre la Fondazione Gimbe a tradurre in cifre e percentuali ciò che viviamo ogni giorno. I biblici tempi delle liste di attesa su cui sono più i progetti per ridurli che le riduzioni. I pronto soccorso più affollati e pericolosi della Curva Sud di uno stadio. I medici di famiglia più preziosi dei tartufi viola. I medici ospedalieri che vedi più nelle cliniche convenzionate o all’estero che nel pubblico: meno undicimila fra 2019 e 2022, meno altri 2564 nel solo primo semestre del 2023. Gli infermieri col record negativo continentale di 6,5 ogni mille abitanti. E solo 13 regioni su 20 che hanno garantito i Livelli essenziali di prestazione (fra cui Puglia e Basilicata, dove pur si sprizza più di rabbia che di gioia).

Manco a dirlo che quando altrove piove, al Sud diluvia a causa del peccato originale di essere Sud. Nella stravaganza di un finanziamento statale della sanità che privilegia il Centro Nord non perché lì ci siano più pazienti e malati, ma perché ci sono (ci sarebbero) più anziani. Hanno più bisogno di cure, giusto. Ma ha più bisogno di essere curato gratuitamente un anziano ricco del Centro Nord o uno povero del Sud? Oltre che l’anagrafe, andava considerata la deprivazione. Anzi la spesa andava devoluta in base al numero dei cittadini punto e basta, ciò che avrebbe comportato lo spiacevole effetto collaterale di trattare i meridionali al pari degli altri. Stessa causa delle migrazioni sanitarie, con i malati costretti ad andare a curarsi fuori, cioè dove hanno avuto dai vari governi più ospedali e più mezzi, Dalla Puglia una spesa di 131,4 milioni all’anno.

Ma non si può dire che manchino di solidarietà. Arrivano dal Nord organizzati piazzisti della salute con minibus per portarsi via chi ha bisogno di un ricovero o di un intervento. Venghino venghino, non da meno di quelli che a fine Ottocento battevano i paesini del Sud per far emigrare i cafoni in America. Va bene, ma ora c’è il Pnrr, faranno Case di comunità entro il 2026: 121 previste in Puglia (al momento nessuna attiva). E previste anche 40 Centrali operative territoriali (per coerenza anche di queste nessuna attiva).

Previsti poi Ospedali di comunità (finora aperti 7 su 38). Ma ci sono due anni di tempo, vuoi che anche questi soldi non arrivino?

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