Palestina-Israele

Se a un anno dal 7 ottobre continua a prevalere la logica della vendetta

gianfranco longo

È stata fatta salva la fede o la religione ha prevalso? È necessario interrogarsi per non confondere nuovamente la pace con un’idea generalizzata di condizioni solitamente contrapposte

Giustizia compiuta o alternarsi di guerre? A un anno dal 7 ottobre 2023 che ha segnato un nuovo margine di separazione fra popoli e forse, ancora, fra Occidente e Medio Oriente, dinanzi alle reiterate sicurezze dell’Ayatollah Khamenei e di fronte ai suoi anatemi, espressi senza alcun margine di equilibrio, proprio a ridosso di questo sciagurato anniversario ci si può chiedere: dopo un anno di guerra è stata fatta giustizia o è stata perpetrata soltanto una vendetta?

È stata fatta salva la fede o la religione ha prevalso? È necessario interrogarsi per non confondere nuovamente la pace con un’idea generalizzata di condizioni solitamente contrapposte e che tali restano.

Sarebbe questa un’idea astratta di pace, priva dell’incontro del perdono, che andrebbe ad inquadrare nuove condizioni ed ennesimi scompensi di forze, salvaguardate da una Comunità internazionale già non esattamente pronta a frenare una guerra europea che si trascina da quasi tre anni, e men che mai in grado di offrire la possibilità di un dialogo, dando senso politico e giuridico a terre molto vaste, terre sulle quali convivono da sempre religioni e politiche diverse, le quali, insieme, hanno finito con il distorcere il fine delle tre fedi monoteistiche, cioè accoglienza, coesistenza, presenza.

Pur evitando una relativizzazione dei principi di ogni fede, ma semmai tutelandoli da ogni dissidio possibile e da ogni intervento politico che rende la fede una religione, si può constatare come tuttavia, su tale versante, la speranza di giustizia sia stata sovente sfigurata con il desiderio di vendetta, la stessa dimensione di pace deformata dalle condizioni della guerra e dall’istinto a prevalere, una tendenza che insorge sempre quando alle popolazioni non sia riconosciuta la dignità di popolo, alle terre la qualità politica di territori in un nesso che trovi infine nella sovranità di uno Stato l’indipendenza da fattori strategici e da dispute di confini, dispute opportunamente colte al fine di seminare ancora reciproche divisioni e conflitti (in realtà inestricabili allo stesso mondo mussulmano), presenti perché prevalga la religione politica e le popolazioni siano costrette a sopravvivere in un assetto spoglio di umanità, sguarnito da ogni identificazione statuale nonché dalla salvaguardia delle libertà individuali fondamentali.

Se non si riesce a far chiarezza su questi aspetti, si rischia sempre di avvitarsi su confronti dialettici e su risvolti degli avvenimenti in corso dal significato ogni volta contrapposto, dicotomico, fattori questi che non osservano della stessa realtà la sofferenza inflitta reciprocamente agli inermi, cioè alle popolazioni civili, ma utilizzano ogni diversità come un’appartenenza negata che deve essere rivendicata e pretesa, lasciando anche sminuire un dettato del Libro sacro dei mussulmani, tutti, sunniti e sciiti, il Corano, che dice: «Per questo prescrivemmo ai figli d’Israele che chiunque ucciderà una persona senza che questa abbia ucciso un’altra o portato la corruzione sulla terra, è come se avesse ucciso l’umanità intera. E chiunque avrà vivificato una persona sarà come se avesse dato vita all’umanità intera» (Corano, Sura 5, vv. 32-33).

E chi sono i figli di Israele? La reciprocità dell’intento è quanto ognuno può raccogliere come fede; l’esclusività però da una parte soltanto, è un presupposto religioso, una condizione poi che si isola nella politica, andando così a sguarnire la persona umana di ogni sua tutela individuale e garanzia di libertà, offrendo infine al vessillo della violenza la custodia delle contese territoriali o del riconoscimento delle stesse popolazioni, di volta in volta sfruttate nella loro causa da organizzazioni spietate, terroristiche, ma anche strumentalizzate da Stati che sono regimi autoritari in grado di rendere la fede una religione di esclusiva politica oppressione.

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