L'analisi

Niente più «passetti»: all’Ue serve un nuovo patto costituente

Ennio Triggiani

L’assetto istituzionale dell’Unione Europea è ormai in via di completamento e manca solo la nomina dei membri della Commissione e cioè i Ministri con le diverse competenze

L’assetto istituzionale dell’Unione europea è ormai in via di completamento e manca solo la nomina dei membri della Commissione e cioè i Ministri con le diverse competenze. Ricordiamo che questi sono ancora 27, uno per Stato membro, in quanto, pur non dovendo rappresentare gli interessi di quello di appartenenza, vengono designati dai governi nazionali (e approvati dal Parlamento europeo). Ciò avviene ancora in deroga, formalmente approvata, di quanto pur previsto dal Trattato che, a sottolineare la rappresentatività generale e non nazionale, aveva fissato il numero dei Commissari ai due terzi del numero degli Stati membri.

Il relativo quadro politico, nonostante l’indubbia crescita delle forze di destra, è comunque ancora caratterizzato da una maggioranza di centro-sinistra (Popolari, Socialdemocratici, Liberali e Verdi) nelle Istituzioni dell’Unione; tuttavia, non va dimenticato che in essa non esiste una situazione politica consolidata come nei singoli Stati, per cui su specifiche tematiche le maggioranze si dimostrano spesso abbastanza fluide. E lo stesso Programma illustrato dalla Presidente Von der Leyen appare su più materie ambiguo ma, quel che conta, è chiaro su profili essenziali quali il rispetto dello Stato di diritto e dei valori fondamentali dell’integrazione nonché sull’irrinunciabile necessità del suo approfondimento. Ed è questa la base, comune alle forze politiche dell’indicata maggioranza, da cui ripartire in vista della scommessa di fondo della nuova legislatura e cioè la Riforma dei Trattati.

Si tratta dell’obiettivo per di più indicato con fermezza dalla Conferenza per il Futuro dell’Europa, la prima grande consultazione partecipata dal basso dei cittadini europei, ma che appare molto arduo da raggiungere. Resta, infatti, lo scoglio del consenso unanime sia per la firma governativa di un nuovo Trattato sia per la ratifica da parte dei Parlamenti nazionali o attraverso referendum.

Eppure, la realtà quotidiana dimostra la debolezza dei singoli Paesi membri dell’Unione nell’affrontare le grandi tematiche di ambiente, sicurezza, flussi migratori, energia, ecc… e quindi la necessità di rendere non più rinviabile la messa in moto di un serio programma riformatore.

Ben consapevoli di questa realtà Enrico Letta e Mario Draghi sono stati chiamati rispettivamente dal Consiglio europeo e dalla Presidente Von der Leyen a presentare due importanti Rapporti. Questi, sul futuro del mercato unico e della competitività, evidenziano la necessità di un cambiamento profondo nel processo d’integrazione europea e l’inutilità del limitarsi a fare «passetti».

Pur differenti per oggetto e taglio politico (di quello di Draghi abbiamo solo alcune anticipazioni), ma inevitabilmente complementari, entrambi i Rapporti ritengono prioritaria una strategia mirata a invertire l’altrimenti inevitabile declino dell’Europa. Essi configurano un appello ai governi nazionali e alle istituzioni «comunitarie» per una prossima legislatura dell’Unione improntata ad una reale trasformazione economica e istituzionale. D’altronde, il mondo in pochi anni, pensiamo solo alle guerre in atto e al Covid, è decisamente cambiato rendendo inattuali molte delle regole vigenti.

Per Draghi, che maggiormente si sofferma sui profili istituzionali, c’è la necessità di operare «una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa». E ribadisce la necessità di ricorrere al debito comune per aumentare la fornitura di beni pubblici, ad esempio attraverso «un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche». Trasformando il valore finanziario, che si genera, in valore sociale e collettivo È l’embrione di un bilancio condiviso che mostri al mondo che il processo di costruzione dell’Europa non si è fermato.

Ed ha ragione, a sua volta, Letta nel ricordare ormai superati i tempi nei quali erano stati esclusi dal processo d’integrazione altri settori decisivi quali la finanza, le comunicazioni, l’energia e, ad esempio, la difesa nella quale gli Stati membri hanno 14 tipi diversi di carri armati e due sistemi di difesa aerea in concorrenza tra loro. L’Europa «non può e non deve cedere ad altri il suo ruolo di leader manifatturiero» e deve procedere con una «transizione equa, verde e digitale come catalizzatore di un nuovo mercato unico: verso un’Unione del risparmio e degli investimenti».

Inoltre, è molto interessante, nei sei capitoli del Rapporto Letta, l’individuazione di una «quinta libertà» del  Mercato Unico  relativa a  ricerca, innovazione e istruzione per potenziarne le capacità nel nuovo panorama globale. D’altronde, bisogna sempre ripartire dalla cultura e dall’intelligenza storica quali pilastri unitari del nostro Continente che ne costituiscono la carta d’identità stampata sui valori della pace, dei diritti umani e della solidarietà da proporre al resto del mondo. Serve un nuovo Patto costituente frutto di un indispensabile realismo visionario.

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