l'analisi

Altro che veti e censure, alla politica serve un vero dibattito pubblico

Alessandra Peluso

Riflettere su questioni quali dissenso, derive estremiste, guerre, diritti, doveri, Costituzione è d’obbligo, e in un Paese come l’Italia dovrebbe risultare fisiologico

Riflettere su questioni quali dissenso, derive estremiste, imposizioni del potere, guerre, diritti, doveri, Costituzione, Occidente, Democrazia (parola abusata che rischia di diventare vacua), sanità, cultura, libertà di pensiero, è d’obbligo e in un Paese come l’Italia dovrebbe risultare fisiologico.

In fondo, in passato lo è stato, a essere protagonisti in tv e sui giornali sono stati tali temi, non solo, e a parlarne sono stati gli intellettuali, gli uomini di cultura, penso ad esempio a trasmissioni in cui si confrontavano illustri filosofi quali Vattimo, Natoli, Severino, nella trasmissione «L’Infedele», ed erano tenuti in estrema considerazione, o a delle puntate del «Maurizio Costanzo Show» con Carmelo Bene, o ancora alle interviste di Enzo Biagi o di Giovanni Minoli, e via discorrendo.

Mi sembra lecito accendere una luce che non sia un abbaglio per nessuno sul senso e il valore della parola, sul pensiero che esprime e sui modelli ai quali oggi le giovani generazioni possono guardare e ascoltare. In un Paese di cultura quale è stato il nostro chiunque fosse espressione di cultura configurava quasi un «totem», un intoccabile, da venerare. In anni precedenti inoltre, i protagonisti duellavano con lettere, articoli sui giornali a suon di sferzate verbali cariche di contenuti. Oggi si querela. Ma in uno Stato democratico ciò che dovrebbe primeggiare sempre non è la parola, il confronto dialogico? Valori di una cultura democratica. Eh già, la parola (logos). Si querela Canfora, si oscurano Scurati, Saviano, e molti altri. Si deride la cultura. Però, non si batte ciglio su manifestazioni, commemorazioni di estrema destra. Molti dicono che non bisogna aver paura, no, ma è opportuno continuare a ignorare e restare indifferenti a ciò che è contrario ai valori della Costituzione? Inviterei la cittadinanza tutta coscienziosa e consapevole e i politici che scalpitano per salire sugli scanni blasonati d’Europa di prestare attenzione. Grazie.

Nel frattempo, il dibattito pubblico dov’è? Cosa dice? È opportuno sempre politicizzare tutto? La Rai è «cosa pubblica» o si decide di privatizzare anche questa? Potrebbe offrire dibattiti pubblici significativi, imparziali, di levatura? Dovrebbe. Ovunque c’è l’ombra della politica, o meglio di un’espressione partitica che volga a sinistra o a destra, danneggiando finanche la stessa politica, quella autentica che c’è, seppur spesso è silente, ma esiste. Così come discutere sui conflitti mondiali senza necessariamente porsi da una parte o dall’altra, e comprendere la drammatica questione nella sua complessità. È inconcepibile che passi l’idea che l’unica via d’uscita sia la guerra, l’uso delle armi, in uno Stato in cui l’art. 11 della Costituzione dichiara: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».

Perciò, è disastroso se all’opinione pubblica si fa credere che la soluzione sia fornire armi e guerreggiare per raggiungere la pace. Sembra che il termine «diplomazia» sia diventato una cattiva parola; eppure, non scaturisce da un’opinione. Si dovrebbe mettere fine alle «opinioni» (doxa) e dar spazio invece alle «verità» (aletheia): è un diritto dei cittadini essere adeguatamente informati, un dovere per le istituzioni informare. Si dovrebbe riempire la parola «libertà» di significato concreto, così come quello di «democrazia». L’Italia, l’Europa non potranno e non devono ergersi su candidature parlamentari spesso bizzarre, sul consolidamento del potere, su pedine, fanti, o cavalieri, servi o padroni, clientelismi, corruzioni, ecc. La politica non è questa.

Quando assisteremo a dibattiti culturali di caratura, quando si darà spazio alle persone che pensano, che conoscono, che sanno che «uno non vale uno», che non può andare chiunque in politica solo per avere il «posto fisso», con l’ambizione di s-parlare, promettere e sopra-s-sedere comodamente a scapito della gran parte dei cittadini che vivono una misera precarietà e nel contempo aver creato reti di potere indistruttibili. Sistemi indefessi (non è un’offesa!).

Si racconta che sia un lavoro pesante, ma chissà per qual motivo si è così appesantiti da restarci – cambiando magari casacca – anni e anni, e ancora anni, perché come dice qualcuno «il potere logora chi non ce l’ha», questo riguarda ogni latitudine, espressione partitica, genere. È un fatto. Vero è che dipende anche dalla vocazione o missione di ciascuno: c’è chi infatti, come lo è stato per Diogene, vuole essere libero, ama la libertà e non si piega ad alcuna «moneta di scambio» offerta dal potere (da chiunque sia rappresentato), perché - è noto - servi o padroni si nasce, liberi si diventa. Ed è molto più facile e rende l’esistenza più agevole sicuramente l’essere espressione di qualcuno o qualcosa, anziché rappresentare semplicemente sé stessi e garantirsi autorevolezza e riconoscimenti.

Articoli Correlati

Privacy Policy Cookie Policy