la domanda

Ma perché sul caso Bari gli intellettuali di sinistra continuano a tacere?

Pierfranco Bruni

Vorrei poter sentire una voce di sinistra sulla questione Bari e non un grido contro il ministro Piantedosi

Ma sul «caso Bari» gli «intellettuali» di sinistra sono spariti? Non si esprimono? Nulla dicono? Nulla affermano? Non hanno pensato «per caso» di redigere un manifesto da sottoscrivere o pensano che sotto sotto ci sia una «anima nazifascista» che muove tutto per un escamotage del centrodestra in traguardo delle prossime elezioni? Meraviglia non poco.

I «paladini» del moralismo-moralità hanno lasciato il campo della prassi marxista e sono forse entrati nel campo fenomenologico kantiano? O forse sono in riflessione. In riflessione religiosa? Attenzione però, che potrebbe sempre essere in agguato una «anima nazifascista» che sta dietro a tutta la vicenda Bari?

Ironie a parte e condizionali ben orchestrati, mi chiedo realmente perché non facciano sentire la loro voce. Non hanno più voce? Eppure Bari è una città ad alta densità e intensità manifestamente cultural-opinionista. O mi sbaglio? Da qui nacque la famosa «Radio Bari»? O ricordo male? Qui nacque il magistrale Aldo Moro, esemplare virtuosismo di moroteismo tatarelliano degli anni passati, che disse che la democrazia cristiana non si fa processare nelle piazze, eppure nessuno lo difese, nel tempo delle rosse brigate, tranne i craxiani.

E ora? In piazza cosa si dice? La confusione, la contraddizione, la conflittualità di una sinistra allo sbando e di una sinistra culturalmente inesistente. Già, cosa è la cultura di sinistra? È mai esistita realmente o è esistito un potere culturale che escludeva e includeva senza una valutazione di fondo della complessità dei saperi?

Mi dispiace per Luciano Canfora che stimavo, ma sostenere ciò che ha sostenuto non è un messaggio culturale... Mi sarei aspettato altro da uno storico della filosofia. Comunque, ritorno all'incipit. Vorrei poter sentire una voce di sinistra sulla questione Bari e non un grido contro il ministro Piantedosi.

Un grido o un urlo che non ha nulla a che fare con la metafora di Munch e tantomeno con gli assurdi e i paradossi di Kafka, di cui cade quest'anno il centenario della morte. La metafora kafkiana non c'entra nulla. Entra nell'immaginario - non usate collettivo perché è un datato sessantottino - di tutta la crisi morale-moralistica delle sinistre. È un dato sul quale riflettere. Meditate gente! Cesare non è di moda ma Seneca sì. Un'altra metafora. Ma le metafore dicono più delle verità.

E poi. Perché si tira in ballo il «metodo Tatarella»? È un altro paradosso. Il Rinascimento tatarelliano ha sdoganato la politica e la cultura che stavano infilati ai pali dei «telegrafi» (per usare un'altra allegoria quasimodiana) di un cattocomunismo dagli spazi occupati e ha creato l'idea di una democrazia aperta e dialettica e non di una «democrazia chiusa» inaccessibile. Il confronto dell'Oltre il Polo ha significato una apertura a tutto tondo con le intelligenze provenienti da diverse «fenomenologie« hegeliane, kantiane e nicciane.

Una sera, in sogno, ho cenato con Hegel, che non è il mio filosofo, e mi ha insegnato però che la «prassi» del rispetto del «popolo» è fondamentale. Anche Marx non avrebbe tollerato le contraddizioni baresi. Figuriamoci Giovanni Gentile, il più grande filosofo del Novecento ucciso il 15 aprile del 1944 dai comunisti. Non so però se sono finiti i comunisti o è finito il comunismo. O entrambi.

Ma ci sono realmente gli «intellettuali», quelli veri della sinistra? Magari chiediamo a qualche gobettiano o a bobbiano dell'ultima ora? Vorrei poter sentire una soffio di bifora degli uomini della cultura delle sinistre. È domanda plausibile? Ammesso che esista una cultura di sinistra.

A risentirci. Da un nicciano sgalambriano.

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