La riflessione
La Lega e il decentramento che non serve al nostro Mezzogiorno
Uno dei principali problemi del progetto dell’autonomia differenziata sta nel fatto che fotografa l’esistente e blocca qualunque ipotesi di suo sviluppo autonomo
Uno dei principali problemi del progetto dell’autonomia differenziata sta nel fatto che questo progetto fotografa l’esistente, per quanto attiene alla struttura produttiva e alla specializzazione produttiva dell’economia meridionale, e blocca qualunque ipotesi di suo sviluppo autonomo. La riforma, infatti, è basata sull’assunto per il quale è la sola responsabilizzazione delle classi dirigenti del Sud che può trainarne la crescita economica, tramite un uso più efficiente della spesa pubblica. A ciò si aggiunge la ripresa dell’argomentazione, tipicamente leghista, del Mezzogiorno sussidiato.
Occorre, dunque, fare chiarezza su queste due tesi, basandosi sull’evidenza empirica e sulla letteratura economica sull’argomento.
Innanzitutto, occorre chiarire che l’esistenza di un nesso di causa-effetto significativo fra maggiore decentramento e maggiore efficienza del settore pubblico è oggetto di ricerche e sembra dipendere in modo rilevante dai singoli assetti istituzionali. Può essere qui sufficiente richiamare una ricerca dell’OCSE, del 2019, stando alla quale i miglioramenti della gestione della spesa pubblica e lo stimolo alla partecipazione democratica derivante dalla spesa delegata a livello subnazionale potrebbero addirittura accentuare le disparità regionali in contesti caratterizzati da scarsa qualità istituzionale. Ricerche empiriche recenti hanno messo in evidenza che la regionalizzazione può determinare crescita della burocrazia locale, e dunque ostacoli localizzati alla crescita, e aumento delle diseguaglianze, soprattutto per Regioni con iniziale basso livello di sviluppo. Si può considerare, inoltre, che le divergenze regionali in Italia si sono ridotte solo nel ventennio 1951-1971, a seguito dell’intervento straordinario, prima dell’istituzione delle Regioni e molto prima del federalismo fiscale e i tassi di crescita del Mezzogiorno sono stati i più alti della sua Storia (la qual cosa ha consentito la fuoriuscita da una condizione di povertà) proprio in quella fase.
In secondo luogo, è discutibile la convinzione che il Mezzogiorno sia – e sia stato - inondato da risorse pubbliche. Si tratta di stime che scontano un elevato grado di incertezza. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio rileva una significativa riduzione dei trasferimenti di redistribuzione territoriale a partire dal 2001. Svimez quantifica in 30 miliardi annui la mancata attribuzione di risorse alle Regioni meridionali nell’ultimo decennio.
Si potrebbe dire, per contro, che, se il problema del Mezzogiorno risiede esclusivamente nell’inadeguatezza del suo ceto politico (la classe dirigente è un insieme più ampio, che andrebbe studiato con categorie diverse), e che ciò deriva dall’eccessiva centralizzazione delle decisioni, allora si sarebbe registrata la tendenza alla riduzione dei divari regionali a partire dalla riforma del titolo V della Costituzione; tendenza che, per contro, non si è verificata. Con ogni evidenza, si tratta di un problema di struttura e di lungo periodo. I divari regionali sono aumentati anche come effetto dell’ingresso dell’Italia nella globalizzazione e nell’Unione Monetaria Europa, in una dinamica di lungo termine che caratterizza il declino economico del Paese, misurato dall’andamento del suo tasso di crescita (e dalla modesta dinamica della produttività del lavoro), sia nella comparazione storica, sia con riferimento al confronto con i principali partner europei. La crescita dei divari regionali appare, così, il risultato di tendenze più generali (crescono in tutta Europa, come rilevato in una recente ricerca della Banca d’Italia) e, al tempo stesso, è l’effetto dell’arretramento della nostra economia – complessivamente considerata – nella competizione internazionale.
La comprensione delle dinamiche strutturali in atto appare molto importante non solo per aver chiare le ragioni del disegno dell’autonomia differenziata, ma anche per utilizzare il dibattito in corso per prospettare ipotesi di intervento nel Mezzogiorno, soprattutto per quanto attiene al potenziamento della base industriale e alle politiche per il Welfare.