Il pensiero
L’università è il luogo della civiltà dove coltivare l’armonia
È inaccettabile assistere a fenomeni di intolleranza nelle università: luoghi di cultura per eccellenza. La cultura è dialogo, confronto, è contraddistinta dalla parola, seppur caratterizzata da contraddizione o conflitto
«Quel che vi è da bandire è l’intolleranza dalle Università, perché con l’Università è incompatibile chi pretende di imporre le proprie idee impedendo che possa manifestarle chi la pensa diversamente», così dichiara Sergio Mattarella, il nostro Presidente della Repubblica, il 15 marzo, giorno di un ennesimo episodio disvelatore di uno «stato necrotico» della democrazia europea, o meglio, di un «arretramento di democrazia», del quale dobbiamo preoccuparci e soprattutto domandarci cosa è opportuno fare (L. Caracciolo).
È inaccettabile assistere a fenomeni di intolleranza nelle università: luoghi di cultura per eccellenza. La cultura è dialogo, confronto, è contraddistinta dalla parola, seppur caratterizzata da contraddizione o conflitto. È parola. Le manifestazioni da stadio in luoghi di cultura non hanno senso di esistere. Quale idea si vuole difendere? Le idee si confrontano, si scontrano, ma si parlano. Gli atenei nascono d’altronde come simposi culturali: luoghi di formazione, si pensi ai giardini epicurei, all’Accademia di Platone, o al Liceo di Aristotele. Formazione integrata attraverso l’ascolto, il dialogo. Nell’oggi le università simboleggiano il vessillo della democrazia, il luogo che bandisce i pregiudizi e costruisce pluralità e multiculturalismi. Non solo, bandisce linguaggi discriminanti o volgari o modalità violente per azzittire. Il sistema democratico non si fonda sulla violenza, bensì è nato dalle ceneri di migliaia di persone che hanno subìto violenze, che hanno vissuto i totalitarismi tra imposizioni, paure, povertà, analfabetismo, guerre.
Sembra evidente che la società con la politica stiano perseguendo una cultura dello sfascio, così come sono nette le intolleranze, l’insoddisfazione, l’assenza di equilibrio ed è qui, su questo paradigma, che bisogna soffermarsi: l’instabilità voluta, si pensi anche alla strategia capitalistica del consumismo che di fatto comporta frustrazione, intolleranza, fanatismo. Pretesti di dissenso di natura politica o religiosa per indicare l’interiorizzazione del pensiero che è specchio riflesso di un linguaggio egocentrico, signum di malcelate insoddisfazioni. La nostra epoca ha perduto la stella polare, ha spento la sua luce di cultura e nel buio brancola seminando conflitti, guerre. Le incomprensioni o i fraintendimenti determinano conflitti interiori che prima o poi si esternano, di rado con la parola. Gli egocentrismi, i narcisisti affondano e colpiscono dominando sull’altro, imponendo il proprio potere.
E dunque, sollevando lo sguardo attorno a noi e più in alto a noi si osserva un panorama dominato dal «conflitto»: oggetto di studio di sociologi, filosofi, psicoanalisti, si tratta di un imprinting dell’«Io», il conflitto è «la scuola dell’io» e si dispiega nelle dinamiche sociali, ma chi è capace di conciliare attraverso una sana e responsabile consapevolezza ciò ha compreso la propria individualità e anche il significato autentico della vita, della cultura (G. Simmel). Il dialogo relazionale risolve i propri e gli altrui conflitti.
Manifestare per un’idea, per un’ingiustizia, per una società equa? Sì, senza dubbio, si deve. Per ottenere diritti e salvaguardare le connessioni dello spazio intersistemico relazionale? Ebbene sì. Ma la scuola, le università salviamole dal degrado culturale, i disagi curiamoli scegliendo altre modalità. Questi sono nati e mi auguro rimarranno luoghi di dialogo, di costruzione delle personalità attraverso la dialettica, l’abile costruzione del linguaggio. Di confronto. L’essere umano è parola. È pensiero. È linguaggio. Il dissenso si dimostri non scegliendo le modalità da talk-show, che dopo aver ascoltato il più delle volte tali attori protagonisti si avverte ancor più il vuoto, l’incuranza, l’insipienza, la confusione. In tal modo, non si raggiunge alcun obiettivo. Ebbene, la violenza è inaccettabile da qualsiasi parte giunga, così come la sopraffazione, nonché infondere la propria posizione politica o religiosa da un docente non è consono al proprio ruolo, (in realtà, nemmeno i giornalisti dovrebbero raffigurare tale distonia), lo diceva il caro Weber: «Il professore deve aver chiaro quando fa scienza e quando invece fa politica», non si possono spacciare «per verità scientifiche quelle che invece sono nulla più che opinioni personali o soggettive»; inoltre, «il professore, una volta in cattedra, deve essere a servizio della verità e non dei gruppi di potere o dei gruppi di pressione». In sostanza, il professore non deve approfittare della sua posizione di professore per propagandare i suoi valori». Le aule di università o di scuola non sono «arenghi», ma luoghi di formazione e qualora si scelga di invitare «professionisti della cultura» si può dimostrare di non condividere tale scelta o non partecipandovi, oppure dopo l’ascolto esprimere la propria opinione, che tale resta e non una verità assoluta. Agli studenti universitari dovrebbe essere chiara la differenza tra «opinione» e «verità», - non soltanto a loro -, così come tra democrazia e dittatura, libertà e imposizione. Perciò, discutere con un senso di responsabilità - evitando tweet, o post fuorvianti, o addirittura manganelli - e con un pensiero critico, sarebbe una conquista politica, sociale, culturale di ampio respiro e di equilibrio. Ed è su questo che bisogna mirare: equilibrio e armonia. Nella policromia. Sarebbe in fondo, una traccia di civiltà.