L'analisi

Da Sanremo a Montesquieu così va in scena l’eterno «Dalli al Sud»

Lino Patruno

Scusate, ma cosa c’entra Montesquieu col Festival di Sanremo? Montesquieu, il grande filosofo francese fra ‘600 e ‘700. Quello citato come simbolo supremo di illuminismo. Ma anche quello della teoria «climatologica» per sentenziare chi fosse moderno e chi no

Scusate, ma cosa c’entra Montesquieu col Festival di Sanremo? Montesquieu, il grande filosofo francese fra ‘600 e ‘700. Quello citato come simbolo supremo di illuminismo. Ma anche quello della teoria «climatologica» per sentenziare chi fosse moderno e chi no.

Quello secondo cui al Nord le persone hanno «pochi vizi e molte virtù», al Sud «sono lontane dall’idea stessa di moralità». Montesquieu, quello secondo cui è il clima freddo a determinare l’industriosità dei settentrionali, mentre è lo scirocco africano a condannare all’ozio i meridionali. Lo diceva per concludere che causa meteo il Nord è destinato alla libertà, il Sud alla schiavitù. Insopportabile per lui poverino il caldo di Napoli, origine degli «esseri umani più miserabili al mondo», di una popolazione più «rozza e volgare di qualunque altra». Montesquieu, non la curva di uno stadio.

Non meraviglia dato che, come diceva Flaiano, il cretino è sempre pieno di idee. O dato che, come aggiungevano Fruttero&Lucentini, il cretino è per sempre. La dimostrazione è che, circa trecento anni dopo, un cretino pieno di idee abbia offerto la sua tesi riveduta e corretta sull’arretratezza culturale del Sud. Tesi questa volta «geografica» più che climatologica: il Sud ha stupidità congenita a causa della sua vicinanza all’Africa. Campionissimo questa volta il sociologo inglese Richard Lynn. Finché il climate change, il surriscaldamento globale, non sta trasformando in un’Africa tutto il mondo. Lynn sotterrato da una risata oltre che da Greta Thunberg.

Ma scusate di nuovo, e il Festival di Sanremo? Nel suo libro La palla al piede, lo storico Antonino Di Francesco ha spiegato come è nato e come è cresciuto il pregiudizio anti-meridionale. Tanto entrato nella psicologia del Paese da essere più scontato del Natale ogni 25 dicembre. Una costruzione della «alterità», diversità meridionale, non partita con la (dis)unità d’Italia, ma frutto a lunga scadenza della divisione universale fra colonizzatori e colonizzati. Cominciata, udite udite, con Cristoforo Colombo, anzi con gli approfittatori che lo fecero morire incarcerato e in povertà. Un Sud tanto naturalmente brutto, sporco e cattivo da non essere in discussione, così è. Fino al punto che quando un meridionale al Nord dimostra (quasi sempre) il contrario, gli dicono «tu non sembri meridionale».

È la stessa naturalezza altrettanto scontata da riflesso condizionato che all’Ariston di Sanremo ha fatto partire i fischi contro Emanuele Palumbo, 23 anni, di Secondigliano, in arte Geolier. Il quale non aveva niente di particolarmente censurabile tranne che provenire dal Napoletano. Dice: ma cantava in dialetto e non si capiva. È lo stesso pubblico che, all’Ariston o altrove, si sbobba ogni giorno canzoni in inglese capendoci ancora meno. È lo stesso pubblico che si inietta quotidianamente testi in rap talmente mitragliati da non capirci ugualmente un’acca. È lo stesso pubblico talmente ricco e politicamente corretto da aver fino allora espresso la sua freddezza verso alcuni interpreti al massimo con battimani di cortesia, giammai fischi. Le élite del Nord hanno stile. Fino a quando il napoletano gli ha fatto salire il sangue agli occhi.

Sempre questi napoletani dalla grande creatività. Lo stesso Sud senza il quale peraltro oggi non ci sarebbe cinema, non ci sarebbe teatro, non ci sarebbe letteratura, non ci sarebbero fiction tv. Verificare per credere. Tutto bene (o quasi) finché non si mettono in testa di poter vincere fuori casa. Addirittura questo Geolier che osa essere il più televotato di tutti i tempi a Sanremo, il più ascoltato in radio, fra i primi 50 in Spotify, primo in Tik Tok. Finché non riescono a bloccarlo la sala stampa e gli esperti, colpo di Stato musicale (roba da Autonomia differenziata) del sistema coloniale che riesce dove non erano riusciti i fischi. A favore di un’altra meridionale come Angelina Mango, meridionalità vincente che sbuca da tutte le parti. Ricordando un vecchio detto della sinistra: maledetti poveri, ve ne approfittate perché siete in tanti.

Ma che razzismo, non si capiva. Una neo-lingua, uno slang (dicono quelli colti), che, piaccia o non piaccia, si afferma in tutto il mondo. Un gergo frutto di una spontaneità che magari non dice granché ma sfonda il video oggi come se fosse il meglio assoluto. E che segna il vero distacco generazionale, gli anziani arroccati e i giovani che vanno avanti. È sempre avvenuto, anche a Sanremo, quando si è passati da Balocchi e profumi a Voglio una vita spericolata. Finché non è comparso un napoletano brutto, sporco e cattivo che ha fatto partire il non meno automatico rigurgito del «dalli al Sud».

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