L'analisi
Baby gang scatenate? La rabbia giovanile sale nell’assenza di ascolto
I fatti di cronaca raccontano quasi ogni giorno di giovani - autori o vittime - di atti di bullismo, violenza nelle scuole e delinquenza minorile
Assistiamo sempre più spesso a episodi che hanno come protagonisti i giovani e che evidenziano un disagio giovanile ormai dilagante. I fatti di cronaca raccontano quasi ogni giorno di giovani - autori o vittime - di atti di bullismo, violenza nelle scuole e delinquenza minorile.
Da Nord a Sud del Paese, sta accadendo in moltissime città, anche a Bari. Nell’ultimo anno, ad esempio, vi sono stati svariati episodi legati a baby-gang che assalgono passanti, bulli che mettono in atto aggressioni anche di natura razzista, come quella avvenuta il 5 aprile scorso nel parco Rossani, una minorenne finisce in coma etilico mentre gruppi di ragazzi si affrontano in una rissa sul water-front del quartiere San Girolamo. Sono gesti sconcertanti, molto spesso incomprensibili agli occhi di tanti.
I casi estremi non vanno certamente considerati come espressione di un fenomeno diffuso: sono casi eccezionali, sarebbe un errore generalizzare. Ciononostante, gli episodi sono tanti. E che lo si voglia riconoscere o meno, il conto del disagio sociale che viene fuori è molto alto. Sarebbe un errore considerarli episodi isolati. Il rischio che il disagio giovanile, invero preesistente, crescesse in modo esponenziale, quale principale effetto dell’isolamento sociale che abbiamo vissuto a causa della pandemia, era stato previsto da diversi studiosi già durante il Covid.
E quindi oggi, pur nella speranza di non vivere più la terribile esperienza di chiusura sociale del 2020, ci ritroviamo di fronte ad un disagio giovanile che è cresciuto e sta crescendo sempre di più. Forse, compressi nella routine della nostra quotidianità, non ci soffermiamo come dovremmo. E intanto, il disagio giovanile non ha mai smesso e continua a scorrere come un fiume sotterraneo che quasi non riusciamo a vedere.
E invece, come adulti, non possiamo permetterci una simile distrazione perché questo fiume porta con sé tantissimi giovani che vivono le più diverse forme di disagio, mentre crescono e si affacciano all’età adulta. Dobbiamo prestare molta attenzione prima che la situazione sfugga di mano. Quando certi brutti episodi accadono, bisognerebbe analizzare caso per caso, verificare chi siano i protagonisti, esplorarne vissuto, personalità, gruppo dei pari e contesto, ma senza perdere mai di vista che siamo di fronte a una generazione di giovani che vivono una condizione di estrema fragilità. Normalmente, sono giovani che vivono le loro crisi di identità, mentre provano a costruirsene una, ma intanto sono lasciati a sé stessi e crescono da soli.
I genitori sono troppo occupati a lavorare o a sopravvivere. E anche nei casi in cui ce ne sarebbe più bisogno, essi sono scarsamente aiutati nell’esercizio del ruolo genitoriale. Tante volte, sono genitori assenti, sia nelle famiglie benestanti che in quelle delle periferie più disagiate.
E così, durante e dopo la pandemia, i giovani hanno trovato «consolazione» nella socialità virtuale: socializzano tantissimo attraverso i social, e spessissimo solo così. E nella loro solitudine, che è anche il riflesso della loro vulnerabilità, i giovani sono troppo esposti a messaggi di una realtà mediata molto spesso in modo solo distorto. Moltissimi giovani commettono atti di violenza magari perché cercano un riconoscimento sociale o una posizione di supremazia sociale nel gruppo dei pari. Mentre alcuni aggrediscono un coetaneo o si picchiano tra loro, altri tutt’intorno filmano e magari i video finiscono in tempo reale su qualche social. Per i giovani, i social non sono solo un modo di comunicare. Nella rete c’è molta parte della loro vita. Lì, ascoltano la musica e magari si imbattono nella trap con i suoi testi che spesso evocano violenza e droga. E se il gruppo può essere virtuoso o diventare patologico, purtroppo nel mondo dei social spesso il cattivo esempio viene usato per raggiungere una rapida popolarità. Forse è questo che provoca la tendenza a reagire all’offesa attraverso atti di cui i giovani tante volte non hanno alcuna consapevolezza. Tante volte, sembra esservi una totale assenza di controllo sulle conseguenze delle proprie azioni. Molti giovani respirano oggi un clima diffuso che li incita a farsi giustizia da soli o con la complicità di qualche amico o del gruppo, e li convince che i conflitti si risolvano con la forza.
È chiaro che noi adulti dovremmo sforzarci di capire, ma soprattutto di esserci. L’adolescenza è una fase di ribellione e poi di riconciliazione e di ritorno. I giovani possono sbagliare, ma hanno tutto il tempo di rimediare e migliorare con il supporto degli adulti. In primo luogo, occorre un sostegno poderoso alla prima agenzia di socializzazione: la famiglia. In secondo luogo, anche la prima agenzia educativa, la scuola, deve attivarsi molto di più rispetto a quello che fa e va supportata in questo.
In terzo luogo, volenti o meno, i social sono il mondo dei giovani e bisogna confrontarsi con esso, non far finta che basti che famiglia e scuola siano migliori.
E infine, occorre il lavoro sia per i giovani come prospettiva di normalità sia per le loro famiglie qualora non vi fosse almeno una fonte di reddito stabile.
È indispensabile mostrare ai giovani che gli adulti stanno pensando al loro futuro, che gli adulti danno loro fiducia e visioni.
Per questo, occorre un’azione ampia e concertata, basata su un dialogo e una sinergia tra le politiche di welfare e quelle dell’istruzione e dell’inclusione lavorativa, a livello comunale come pure nell’ottica di una cooperazione interistituzionale con il livello regionale.
Nonostante in questi anni siano state fatte tante cose, questo coordinamento è mancato e ciò ha minato la possibilità di costruire politiche integrate più efficaci per combattere insieme contro ogni forma di disagio giovanile e le conseguenti forme di esclusione sociale.