La riflessione

Un grande centro congressi e gli Stati generali sul Sud: la Fiera può ripartire da qui

Pino Pisicchio

Per la Campionaria non è solo un problema di visitatori ma qualcosa di più radicale: è un problema di ruolo.

La Fiera del Levante pare non se la passi troppo bene. Non è solo un problema di visitatori, è qualcosa di più radicale: è un problema di ruolo. E ovviamente vede incolpevole la governance appena insediata, ma parte da più lontano.

Da tempo le fiere «generaliste» hanno perso il loro perché: in epoche remote si rivolgevano soprattutto alla platea dei visitatori, come ancora accade per le grandi esposizioni universali, un catalogo immenso di estetica commerciale che illustra l’appeal delle nazioni partecipanti. Ma ormai da molti anni ne hanno preso il posto le fiere specializzate, che hanno come platea privilegiata gli operatori e solo secondariamente guardano al pubblico più vasto.

La Fiera di Bari nacque 106 anni or sono con una vocazione certamente generalista come usava nella visione dei primi decenni del secolo scorso, ma anche con una chiara propensione internazionalista, dichiarata dall’apertura al Levante. Si era in epoca fascista, Bari andava assumendo il profilo estetico dell’architettura piacentiniana e dieci anni dopo la fondazione della Campionaria Mussolini avrebbe realizzato l’inutile invasione dell’Albania appena ad 80 km al di là dell’Adriatico. Seppure incagliata nella tronfia retorica del regime, la Fiera andava trovando un suo perché, proponendosi davvero come grande spazio espositivo aperto verso l’Oriente e attento al Mediterraneo meridionale.

Dopo l’avvento della democrazia repubblicana la Fiera s’implemento’ di un valore «politico» nazionale: la consuetudine della partecipazione del Presidente del Consiglio alle inaugurazioni di settembre, segnava il momento di avvio della stagione politica in cui il capo del Governo faceva bilanci sulla politica meridionalista e assumeva impegni per il futuro di fronte al Gotha dell’imprenditoria privata e pubblica italiana e non solo. Memorabili le aperture di Aldo Moro e le presenze fisse di Agnelli e dei grand commis dell’industria partecipata.

Poi, a partire dagli anni ‘90, la formula antica ha cominciato a mostrare gli anni, a perdere il suo appeal ed anche la sua centralità nella successione degli eventi rilevanti del Paese, perdendo terreno anche sul piano dell’attenzione mediatica. Certo, il commercio andava cambiando volto e ragione, per l’avvento dei mercati digitali, ma la Fiera del Levante su questo versante avrebbe forse potuto contare su una discesa inerziale più lenta.

Il problema vero è che venne meno il ruolo «politico» conquistato nel dopoguerra, quello che ne faceva un appuntamento atteso, come i convegni di «Ambrosetti», per un bilancio sulle politiche meridionaliste e per l’avvio del ciclo della finanziaria.

La difficoltà della Fiera oggi sta, dunque, anche nella perdita di ruolo politico, testimoniata oltretutto dall’assenza quasi sistematica dei primi ministri.

Viene allora da domandarsi se davvero la Fiera possa essere considerata solo un «luogo» fisico, peraltro ormai quasi parte del centro cittadino, che potrebbe trovare altre e più redditizie destinazioni. Oppure diventare che cosa?

Forse il futuro della Fiera è nel suo stesso patrimonio genetico, levantino e mediterraneo. La Fiera è manufatti, padiglioni, sale di varia grandezza: è il luogo ideale per allocare un grande Centro Congressi attrezzato, che né la città, né il territorio regionale possono vantare. Sarebbe una scelta politica, perché si potrebbero ospitare nel corso dell’intero anno congressi di diverso impegno, comprese le occasioni più rilevanti.

Sarebbe anche una scelta economica, perché così la stagione attiva per il settore alberghiero, per la ristorazione, per il commercio in senso più ampio, durerebbe tutto l’anno, anche con benefici indotti per l’hinterland. Inoltre - e qui torniamo alla politica - si potrebbe partire a settembre dagli Stati Generali sul Mezzogiorno, in cooperazione con gli istituti di ricerca come la Svimez e le università meridionali, ripristinando la consuetudine della presenza del governo ai livelli massimi. Forse su questa traccia la nostra Fiera potrebbe ritrovare il suo senso.

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