il commento
Non dimentichiamo che gli italiani dissero no all’energia nucleare
A trentasei anni dal pronunciamento popolare plebiscitario nel referendum abrogativo del 1987, torna ad agitarsi lo spettro delle centrali in Italia
Nucleare, ci risiamo. A trentasei anni dal pronunciamento popolare plebiscitario nel referendum abrogativo del 1987, torna ad agitarsi lo spettro delle centrali in Italia. Il problema non è tanto la dichiarazione del vice presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Salvini («in produzione entro dieci anni»): potrebbe restare un’altra delle tante che dice... È che l’argomento rientra nell’agenda del ministro dell'Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin. Nel corso del Forum Ambrosetti, il responsabile del Dicastero dell’ecologia ha annunciato il primo atto di una Piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile. Istituzioni e imprese della filiera atomica si riuniranno con il Ministero già il 21 settembre.
Ma gli italiani non hanno già bocciato pesantemente il nucleare? Lo hanno fatto nel 1987, votando SÌ (80,57%) per abrogare le norme sulla localizzazione delle centrali nucleari, sui contributi agli enti locali per la presenza di impianti nucleari sul territorio e sulla partecipazione dell'ENEL a impianti nucleari all'estero. Era il referendum proposto dal Partito radicale, che scongiurò l'avventura nucleare. Vennero chiuse le tre centrali funzionanti a Latina, Trino Vercellese, Caorso e fermata la costruzione di quelle di Montalto di Castro e Sessa Aurunca.
Nel 2011, altro stop referendario alle nuove norme che consentivano la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica da nucleare: un «vade retro» decretato da oltre 25milioni e mezzo di elettori, pari al 94,05 % dei votanti.
Non dimentichiamo gli incidenti nelle centrali nucleari di Three Mile Island, negli Usa (1969), Chernobyl (URSS, 1986) e Fukushima (Giappone, 2011) e teniamo presente che gli studi stimerebbero necessario l’esercizio di almeno 25 reattori nucleari di media potenza, per fare fronte all’attuale fabbisogno di energia elettrica dell’Italia. Come sappiamo, Enel avrebbe individuato siti potenzialmente idonei in otto regioni: Friuli, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Marche, Lazio, Molise e Puglia, la sola in Italia con tre località candidate ad ospitare una centrale nucleare: Mola di Bari, Nardò e Manduria.
Conterà pure qualcosa il no degli italiani al nucleare? E questo rigurgito dell’energia da fissione dell’atomo non rappresenta una contraddizione con la convinta transizione ecologica, avviata in coerenza con le politiche di sostenibilità ambientale sostenute dall’Unione Europea? Non stiamo puntando sulle energie pulite, progettando parchi eolici offshore nei nostri mari e riempiendo i territori di pale eoliche e distese di pannelli fotovoltaici, in aree spesso sottratte all’agricoltura?
Piuttosto che investire miliardi nelle sempre insidiose centrali nucleari, sarebbe preferibile continuare a puntare con convinzione sulla svolta green per l’approvvigionamento energetico e la fornitura al Sistema Paese, alle aziende e alle famiglie.
Un Governo che si rispetti non può fare un «testacoda» ogni 25-30 anni, deve onorare la volontà dei cittadini, che hanno chiaramente indicato come prioritaria la sicurezza ambientale. Non si può tradire la coscienza ecologica del Popolo italiano, che ha più volte chiaramente chiesto di insistere con coerenza sulle scelte energetiche sostenibili.
Invece di spingere la propria comunità verso un progetto pieno d’incognite, Palazzo Chigi provveda a indire un referendum – prima che a proporlo intervengano associazioni e movimenti - per chiedere agli italiani se siano favorevoli a un ritorno al nucleare. Roma non può trascurare peraltro i costi elevatissimi, tanto più che il ministro Giorgetti non nasconde la difficoltà di reperire risorse finanziarie per la manovra economica 2024. Lo Stato dovrebbe puntare ad investire il possibile sull'efficientamento energetico, sulle rinnovabili senza se e senza ma, sulla tutela dell’ambiente e dei territori, già minacciati dal dissesto idrogeologico e dagli estremi climatici conseguenti al riscaldamento globale.
Si dovrebbe incentivare il fotovoltaico sui tetti, sugli edifici pubblici, scuole, ospedali e aiutare le famiglie a dotarsi di impianti solari, con bonus economici che consentano di abbattere gli alti costi. Vanno anche superate le lungaggini burocratiche che rallentano la transizione ecologica. Sono scelte di buon senso, che derivano da una vocazione (sì alle energie pulite, no al nucleare) ben radicata nella memoria collettiva. Sono il sentire comune espresso dagli italiani.