L'analisi
Sistema sanitario nazionale, si avvicina l’ora delle decisioni dolorose
Quanto sta bene il nostro sistema di salute? Che aspettativa di vita ha, visto che dalla sua esistenza dipende il nostro benessere?
Quanto sta bene il nostro sistema di salute? Che aspettativa di vita ha, visto che dalla sua esistenza dipende il nostro benessere? (o perlomeno di chi non vive con stipendi a cinque cifre?).
Ciclicamente, infatti, riappare protagonista sulla stampa italiana l’attenzione allo stato di salute del nostro Sistema Sanitario Nazionale (SSN). A volte a causa di episodi di malasanità, ultimamente a causa di aggressioni a sanitari da parte di famigliari e pazienti, sempre più spesso a causa della mancanza di risorse per «andare avanti». A preoccupare, perché più profondi, sono i gridi d’allarme sul tema complessivo della sostenibilità intera del sistema. Agli appelli generici, la soluzione sventolata per la maggiore è ancora il classico «aumento delle risorse economiche necessarie» ma, tra gli addetti ai lavori, è ormai chiaro che il tema è strutturale e più preoccupante. Ad essere messo in dubbio e non in maniera ideologica, infatti, è il carattere universalistico del nostro sistema.
Cosa stiamo rischiando? Utile è il «conto ombra» presentato, qualche giorno fa, dall’Anaao Assomed che ci illustra quanto dovremmo pagare per curarci se non ci fosse più il Ssn. Fino a 1.200 euro al giorno per un ricovero in un ospedale privato, sala operatoria da 1.200 euro l'ora ,parcelle del chirurgo da 3.000 a 10.000 euro. Insomma, se non ci fosse più SSN, che oggi grava sui cittadini solo per la fiscalità generale, il conto delle cure sarebbe assai salato. L’universalismo non è in natura, è un diritto che costa ed anche parecchio.
Le cause sono tante. Alcune intrinseche nel sistema come l’introduzione di cure innovative spesso molto costose, la carenza di medici e professionisti sanitari, la difficoltà nello sperimentare nuovi modelli organizzativi, o nell’utilizzare a pieno la prevenzione e la medicina territoriale. Ma non solo: il deserto demografico è un trend che impatta tutta la pianificazione politica e sanitaria con sempre più anziani e numerose solitudini, congiunto all’aumento delle patologie croniche legate alle nuove aspettative di qualità di vita (50% degli italiani è cronico a 55 anni, con una cronicità che dura in media 27 anni, con un consumo del 65% delle risorse della sanità).
E allora non si può più fuggire da domande di fondo: vogliamo ancora un sistema sanitario pubblico e universalistico finanziato dalla fiscalità generale? Ma non solo. Alcune dovranno necessariamente essere più brutali ma necessarie: continuare a garantire tutto e tutti è opportuno? Quali tipologie di cure o servizi non garantire più gratuitamente? Oppure a chi negare l’accesso a una parte o a tutto il SSN? O in che fasi della vita permettere determinanti servizi?
Domande a cui i demagoghi e populisti hanno già la risposta pronta «salviamo il SSN» dimenticandosi di indicarci il come. Perché è questo che manca. Chi vive nella realtà delle regole della matematica deve, infatti, interrogarsi sul come. Come aumentiamo la prevenzione e la medicina del territorio con questo contesto e in queste condizioni? Come vogliamo governare il fenomeno delle assicurazioni sanitarie? Ha ancora senso slegare il livello del reddito dall’universalità del sistema? L’autonomia differenziata metterà ancora più in evidenza le disparità tra livelli di servizi? Dobbiamo spostarci dal nostro modello ippocratico ad uno più utilitaristico? Dobbiamo introdurre una franchigia annuale di accesso alle cure per tutti?
Il nostro sistema universalistico, in definitiva, ha bisogno di nuovi compromessi, modelli nuovi e scelte coraggiose per salvarsi. Tocca alla politica farle, e checché se ne dica, la politica siamo tutti noi. Cosa siamo disposti a fare per salvare il SSN? Stiamo rischiando di far crollare il SSN perché nessuno mai in questi anni ha fatto davvero la manutenzione che serviva. Ora servirebbe un accordo e quindi un progetto che provveda a ricostruire gli equilibri strutturali compromessi, cioè a ristabilire adeguate condizioni di sostenibilità.
Intanto, però, tocca ai «buoni» perlomeno sostenere la necessità di affrontare il tema e promuovere la nascita di consapevolezza sulle ripercussioni che l’attuale andamento, se non cambiato, avrà sulla nostra vita quotidiana e quella dei nostri cari. Altrimenti, possiamo sempre affidarci al buon Dio. Nella speranza che al momento del bisogno, almeno lui, si faccia trovare pronto ad aiutarci. Gratis.