La riflessione

Malattia e memoria sociale, finalmente il diritto all’oblio oncologico

Luigi Manconi e Federica Resta

È un dispositivo potente di liberazione della persona, strumento di costruzione di una vita e di un’identità che non siano già definite da altri e dal passato

In un contesto politico particolarmente conflittuale, in cui persino la matrice - giudizialmente accertata - di una strage drammatica come quella della stazione di Bologna diviene materia di scontro ideologico, l’approvazione all’unanimità di una proposta di legge è una notizia importante.

E lo è ancor più in ragione del suo oggetto: l’oblio oncologico. Con questa formula - che rievoca quel diritto ad essere ed essere rappresentati come diversi da ciò che si è stati - si indica il diritto, del paziente ormai guarito, a non essere perennemente (e ingiustificatamente) destinatario di un trattamento diverso negli ambiti più diversi del vivere.
Troppo spesso, infatti, pazienti oncologici ormai guariti si vedono negare la concessione di mutui a lungo termine, mutare radicalmente le condizioni di assicurazione, valutare diversamente la possibilità di stipulare un contratto di lavoro o persino di adottare un bambino. Sembra insomma che la malattia, pur sconfitta sul e con il corpo, non lo sia mai nella memoria che lascia, proiettando la sua ombra sul futuro del paziente, come una gabbia in cui restare imprigionati. Mentre la medicina, con gli incredibili traguardi raggiunti, si fa strumento della liberazione del corpo dalla malattia, la memoria sociale sembra non conoscere oblio. E accade, così, che per quel milione di persone (il 27% dei circa 3, 6 milioni dei pazienti oncologici) che, pur con sacrifici impensabili è riuscito a sconfiggere un cancro, alla guarigione fisica non corrisponda quella sociale, identitaria.

La proposta di legge, approvata appunto all’unanimità su un testo in cui sono rifluiti vari progetti normativi di diversi schieramenti, intende quindi affrontare il dramma di chi, pur guarito dal cancro, non riesce a liberarsi dello stigma impresso, come una cicatrice indelebile, sulla persona e sulla sua rappresentazione sociale.. Si sancisce, così, il diritto delle persone guarite da una patologia oncologica di non fornire informazioni né essere oggetto di indagini sulla propria condizione pregressa, in particolare ai fini della stipula o del rinnovo di contratti bancari, finanziari e assicurativi, dell’affidamento di minori o della partecipazione a concorsi.  Si tratta di norme importanti, che consentono alla persona di non sentirsi interamente risolta nella sua malattia, permettendole di prescindervi nel suo vivere quotidiano e nelle relazioni sociali.
Perché se è indubbio che la malattia segni, il corpo e il cuore, è altrettanto indubbio che essa non possa precludere il futuro.
Come già in altri ambiti, il diritto all’oblio si afferma, dunque, come dispositivo potente di liberazione della persona, strumento di costruzione di una vita e di un’identità che non siano già definite da altri e, soprattutto, dal passato. È stato così anche per la rappresentazione mediatica della persona che, alimentata dalle mille informazioni reperibili sul web, rischia - soprattutto a distanza di tempo - di non coincidere più con la sua reale identità, come evolutasi nel frattempo.

Vale soprattutto per la cronaca giudiziaria; per tutti coloro i quali, una volta assolti, continuano tuttavia a vedersi accostati al procedimento penale a cui sono stati sottoposti. Anche in quest’ambito, il diritto all’oblio svolge un ruolo importante nella tutela dell’identità personale, perché una memoria sociale ingiustificatamente selettiva non la schiacci, negandole una possibilità quanto mai vitale di mutamento. È un bene, dunque, che un istituto giuridico, quale appunto il diritto all’oblio, dalle così grandi potenzialità, venga valorizzato per comporre il conflitto tra identità, dignità e memoria sociale, soprattutto in un ambito tanto delicato quanto è la tutela del paziente.

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