L'analisi
La violenza come assenza di etica e di vocabolario, così l’uomo perde l’umanità
Troppi interrogativi in questo articolo e in queste realtà, perché una risposta univoca non esiste. Siamo di fronte ad una violenza che è assenza totale di vocabolario
Il bar di Alessandro Impagnatiello. Il pancione di Giulia. Il negozio della pugliese dove lei avrebbe comprato il corredino del neonato. L'altra donna, il test Dna fasullo, gli appuntamenti, le bugie. Per qualche giorno le vite terribili di queste persone ci diventano familiari, s'impadroniscono dei titoli dei giornali, dei programmi di intrattenimento pomeridiano, dove ogni particolare, ogni immagine, è scaraventata sui nostri occhi inorriditi. Poi, dimentichiamo anche questi nomi, perché se ne aggiungono altri, perché un killer noto dieci anni fa ha il permesso per buona condotta.
Ettari di commenti che si sprecano, post sui social, qualche tavolo politico, proposte d'intervento di cui si gettano le basi. Già, ma quali soluzioni?
Se un uomo arriva al punto di girare con il cadavere della fidanzata incinta di sette mesi in auto, chiedendo aiuto a «Chi l'ha visto» e arrovellandosi tra i depistaggi, non ci sono molte cose immediate da poter fare. Qualcuno dice che «serve capire come nasca questa violenza», perché i numeri crescono. Ok. Chi vuole provare a dare risposte certe e univoche?
Le colpe. C'è chi è sicuro che sia effetto della violenza assistita: bene, se provassimo a cambiare la programmazione di tutti i network e la melma di tutti i video, si risolverebbe? Chi ha cinquant'anni oggi o anche di più, non può certo dire di non aver mai visto un film di Dario Argento (il primo è del 1970, L'uccello dalle piume di cristallo) o di non aver sentito parlare della storica prima pellicola horror di Georges Méliès, fine Ottocento, in cui diavoli, indiavolati e fantasmi muti, si agitavano in una trama non certo dolce.
Altre colpe. Il mondo difficile, la rabbia, le solitudini... tutte cose che obbiettivamente non sono nuove e che in tempi diversi hanno assillato le generazioni, tra guerre, povertà e altri eventi tragici. E ancora, qualcuno elenca le «istituzioni» destituite: la famiglia, la scuola, le parrocchie. O i social, quelli ai quali l'omicida di Torremaggiore, in provincia di Foggia, si è rivolto dopo aver ucciso la figlia 16enne che difendeva la madre dai suoi attacchi. Tutto vero, ma siamo certi che se non fosse esistito Facebook, quell'omicida non avrebbe colpito? E quante famiglie e scuole in crisi hanno alla fine creato persone che ben sanno quanto sia sbagliato sgozzare la moglie, accoltellare a morte la fidanzata, finire a colpi di pistola le figlie, le amanti, le compagne che ti vogliono lasciare?
Troppi interrogativi in questo articolo e in queste realtà, perché una risposta univoca non esiste. Siamo di fronte ad una violenza che è assenza totale di vocabolario. E ad una violazione dei diritti umani, di tutti. Ma forse non serve una legge perché un uomo capisca che portarsi a spasso un cadavere è reato: le leggi ci sono, quelle umane sembrano latitare. E, in una società che ha perduto il senso, c'è qualcosa che non funziona nella coscienza di sé e degli altri, nella percezione del partner-oggetto, nell'egoismo imperante del sì a tutti i costi, dell'Io ingigantito, dei bisogni e delle «comodità» personali visti sempre al primo posto. Quali leggi invocare di fronte a questa deriva umana è impossibile dirlo: manca l'educazione sentimentale, afferma qualcuno. Sarà, ma com'è triste dover «educare» al sentimento, persino l'amore, l'affetto, l'amicizia devono diventare materie di studio, mah. Non servono lezioni, non servono commissioni con gettoni di presenza, ma un briciolo di ritorno a quell'etica interplanetaria che fa degli uomini persone perbene. Guardate, in prima pagina, la vignetta che ha disegnato il nostro Nico Pillinini: in quel quadrato c'è tutto il senso di ciò che – insensatamente - nel nostro mondo sta mancando.