L'analisi
Educazione digitale per evitare i «guai» della rete
Occorre operare sulle dinamiche relazionali dei giovani e giovanissimi e lavorare sul rispetto che ognuno deve avere fin da bambino per la dignità dell’altro
Ho avuto modo di leggere le proposte formulate da Telefono Azzurro che mi vedono, in linea di massima e salvo doverosi approfondimenti, complessivamente d'accordo, soprattutto per quanto riguarda l'introduzione dell'educazione civica digitale. Da tempo ripeto, infatti, che bisogna fare molta attenzione ai pericoli della «rete» che è il mezzo attraverso il quale gli adolescenti divengono vittime di numerosi delitti, ma che anche, spesso, di tali delitti li rende autori. Il fenomeno ha numerose cause ed è influenzato da modelli culturali oltre che dall’ambiente e dalle caratteristiche psicologiche dei suoi protagonisti. L’uso illecito della «rete» è, insomma, un fenomeno che riflette anche dinamiche di gruppo trasferite dal mondo reale al virtuale e, come tale, deve essere affrontato soprattutto sotto il profilo culturale.
Occorre operare sulle dinamiche relazionali dei giovani e giovanissimi e lavorare sul rispetto che ognuno deve avere fin da bambino per la dignità dell’altro. Non a caso la Scuola è il soggetto deputato a intervenire in prima battuta dalla L. 71/2017 a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. Giustamente è la Scuola ad essere chiamata a promuovere l’educazione all’uso consapevole di Internet e ai diritti e doveri connessi all’utilizzo delle tecnologie informatiche, come elemento trasversale alle diverse discipline curricolari.
È evidente però che la Scuola non può essere lasciata sola in questa sua azione. Anche la magistratura minorile ha un bagaglio di esperienza e conoscenze del mondo giovanile che, credo, possa mettere proficuamente a disposizione in termini di collaborazione per consentire un’analisi attenta del fenomeno.
Vero è che da anni sia la magistratura minorile, sia la polizia postale si impegnano nelle scuole a parlare dei pericoli della rete ma, evidentemente, questo non è sufficiente.
A causa di quel misto di curiosità, incoscienza e voglia di sfidare sé stessi e il mondo che caratterizza gli adolescenti e di quell’ingenuità propria dei bambini, non mi pare che i nostri interventi stiano sortendo risultati entusiasmanti. Ciò non vuol dire che bisogna demordere.
Io sono tra coloro che ritengono sia necessario comunque insistere in una attività di formazione che parta sin dalla scuola primaria perché ormai i minori che utilizzano gli smartphone e accedono ai social appartengono a fasce di età sempre più basse e a fasce sociali di ogni tipo; anche i meno abbienti, infatti, riescono, in qualche modo a procurarsi gli strumenti necessari per l’accesso. Credo però che sia necessario ampliare la base dei destinatari di tale formazione. Con i ragazzi e, prima ancora dei ragazzi, dobbiamo formare i docenti e i genitori, perché esiste un gap enorme nella conoscenza del mezzo informatico tra noi e le ultime e ultimissime generazioni.
È quindi necessario, senz’altro aprire un dialogo sempre più serrato con la scuola per creare delle modalità di intervento che siano coordinate e contestuali tra le varie procure per i minorenni e le questure, possibilmente su tutto il territorio regionale, magari anche con il reclutamento di esperti esterni. Occorre, a mio avviso, attuare interventi che prevedano una formazione congiunta di docenti e genitori proprio per lavorare in modo capillare e uniforme col fine di avviare i bambini e gli adolescenti ad un utilizzo corretto dei social, insegnando anche agli adulti con quali software bloccare i più pericolosi e come spiegare tale azione ai rispettivi figli.
Ma occorre ancora un’altra cosa: occorre studiare una strategia che consenta di «catturare» assicurandosi la partecipazione in tali incontri, tutti i genitori degli alunni e non soltanto i più attenti, quelli che seguono di norma i figli e mostrano maggiore sensibilità.
Forse bisognerebbe trovare il sistema per rendere obbligatorio, con l’iscrizione del bambino a scuola, la partecipazione agli incontri di formazione per i suoi genitori, magari inserendo nel patto di corresponsabilità scuola-famiglia un impegno in tal senso per i questi ultimi.
Mi chiedo, poi, se non sia il caso di creare, magari all’interno degli Osservatori regionali alle politiche sociali (dei quali ovviamente non dovrebbero costituire un duplicato) cabine di regia «mirate» composte da rappresentanti delle procure per i minorenni competenti territorialmente, degli uffici scolastici regionali, delle forze dell’ordine; cabine di regia regionali capaci, per un verso, di raccogliere tutti i dati provenienti dal territorio che possano consentire, sia di studiare a fondo il fenomeno del cyberbulling sia capaci di elaborare, in relazione alla sua entità, in tempi rapidi, strategie di contrasto diversificate in base alle esigenze e problematiche espresse dalle varie e spesso disomogenee aree del Paese.
Si tratterebbe insomma di costituire organismi interistituzionali di studio e propositivi in grado di predisporre specifiche strategie di contrasto, attraverso la raccolta dei dati provenienti dal territorio e la loro elaborazione e di fornire un contributo di fatto altamente tecnico all’Osservatorio Nazionale per l’infanzia.
Resto convinto d’altronde che i bambini e gli adolescenti possono trovare un’adeguata protezione dai possibili rischi e dalle tentazioni delle «rete» solo attraverso l’impegno comune del mondo adulto che deve avvicinarsi con consapevolezza agli strumenti del nostro tempo.