il commento
La piazza di Bari è solo una prima riscossa contro l’autonomia differenziata
C’è in ballo il futuro di uomini e donne di questi territori, delle sue imprese, dei giovani
Una piazza che tiene assieme Cgil e Confindustria, diversi partiti, Legacoop, tutto il mondo dell’associazionismo civico, politico e sociale, che richiama alla partecipazione lavoratori, giovani, decine e decine di amministratori pubblici di ogni angolo della Puglia, espressioni del mondo della cultura, è la fotografia di preoccupazione trasversale rispetto alle gravi ricadute che l’autonomia differenziata rischia di produrre nel Paese e in primis nei territori del Mezzogiorno. In poco meno di una settimana siamo riusciti a portare in piazza a Bari 1500 persone, ma al di là degli obiettivi numerici, comunque straordinari per un sabato sera e per un tema sul quale l’opinione pubblica non è stata informata come si dovrebbe, e in un periodo in cui c’è quasi rigetto verso forme di partecipazione pubblica, basti pensare all’astensionismo elettorale – è proprio la connessione tra mondi autonomi e spesso contrapposti che dice di una battaglia che è sì politica, ma non può essere recintata in schemi precostituiti. Qui c’è in ballo il futuro di uomini e donne di questi territori, delle sue imprese, dei giovani, di chi ha voglia di sprigionare intelligenze e competenze per contribuire alla crescita di tutto il Paese.
Basta con gli stereotipi del Sud parassita, basta con la storiella di una classe dirigente inadeguata. Serve solo a coprire un dato di fatto: il divario territoriale nell’accesso a diritti e servizi è un vulnus alla Costituzione, che prevede unità sostanziale tra tutti i cittadini. Una retorica cavalcata per anni dal «partito del Nord» per sostenere l’autonomia differenziata. La verità è che i nostri cittadini sono discriminati quando non si vedono garantiti diritti altrove esigibili. Abbiamo diffuso numeri su numeri in queste settimane, a dimostrazione di come il sistema di perequazioni e distribuzioni delle risorse da tempo penalizzi il Mezzogiorno. La differenza ogni anno di 3000 euro nella spesa pro capite che vi è tra un cittadino della Puglia e uno della Lombardia si traduce in una sanità meno efficiente, in un sistema di tutele e welfare non adeguato ai bisogni, in un sistema di istruzione non universale. E a chi risponde che tutto questo c’è a prescindere dall’autonomia rispondiamo: bene, allora sia questa la priorità, unire il Paese e non dividerlo. Definiamo i Lep e finanziamoli: non ci vendano la storiella che sono legati alla riforma Calderoli, i Lep sono un diritto, che attendiamo da venti anni.
E poi: come si fa a pensare a venti piani di politiche energetiche, quando l’Europa ha la necessità di definire una strategia unica a livello comunitario in una fase internazionale complessa? Ma vale anche per le politiche industriali: si può pensare a cosa è bene per le imprese della bergamasca o per quelle del Triveneto in una dimensione Paese con produttiva ramificata, delocalizzata, con una domanda interna interconnessa? È l’Italia nel suo insieme che deve rafforzarsi sul versante produttivo, infrastrutturale, della ricerca, dell’innovazione. Che ha bisogno di rafforzare la Pubblica amministrazione per poter governare le progettualità legate alle risorse comunitarie, oltre che garantire l’erogazione dei servizi a cittadini e imprese.
Vogliamo essere messi nelle condizioni di poter costruire un nuovo sviluppo socialmente e ambientalmente sostenibile; dare risposte alle povertà emergenti rafforzando il sistema pubblico di welfare; investire di più e meglio su sanità e istruzione; intervenire sul versante infrastrutturale per rendere più competitivo e attrattivo il territorio; governare la transizione energetica senza che le stesse producano macerie sociali in un territorio che ha pagato già un prezzo altissimo in termini ambientali all’industria pesante e alla produzione di energia da fonti fossili. È evidente che la grande manifestazione di sabato non può che essere un primo passo. La rete di relazioni e collaborazioni costruita va tenuta in piedi, perché il tema dell’autonomia rafforzata non è questione della Puglia, ma parla all’Italia e lo sa bene la nostra organizzazione. E in tal senso il prossimo passo non potrà che essere un forte sostegno da questi territori a una futura mobilitazione della Cgil a carattere nazionale.