Dopo il voto in lombardia e lazio

L’Italia non deve fermarsi al Po, bisogna andare avanti in mare aperto

Oscar Iarussi

L’aspirazione alla devoluzione di competenze cruciali dallo Stato verso le Regioni, non trova corrispondenza nella débâcle dell’affluenza

Per le elezioni regionali in Lombardia e in Lazio erano chiamati al voto poco meno di 13 milioni di elettori, rispetto ai 46 milioni circa di aventi diritto al voto in Italia. Più di un quarto dell’elettorato, dunque, che si è espresso nettamente in favore del centrodestra. Ma il dato più eclatante è stato il calo abissale dell’affluenza ai seggi: in media ha votato il 40 per cento contro il 70 per cento delle Regionali del 2018. Un crollo epocale che fa riflettere da molteplici punti di vista. Intanto si decreta il tramonto definitivo della forma-partito novecentesca, che non risparmia i soggetti della cosiddetta «anti-politica» (il Movimento 5 Stelle) né la nuova offerta sul mercato politico interpretata per esempio da «Azione» di Carlo Calenda, che pure sembrava avere in Milano la sua promessa di futuro (Letizia Moratti non va oltre la soglia del 10 per cento).

Lungi dal porsi questioni sul perché di tale declino, ad «appassionare» sembrano essere piuttosto le interpretazioni sui rapporti di forza. Quelli interni al centrodestra con l’egemonia di Fratelli d’Italia, ma con una Lega non residuale, e al centrosinistra diviso e perdente ormai per definizione, dove il Pd si attesta sulla malinconica quota del 20 per cento. Ma soprattutto il voto rivela una distanza crescente tra gli elettori e le Regioni varate nel 1970, a oltre vent’anni dalla riforma federalista del Titolo V della Costituzione (2001). Insomma, par proprio che a uscire a pezzi dalle urne sia l’«autonomia differenziata» del disegno di legge Calderoli approvato due settimane fa in Consiglio dei Ministri. L’aspirazione leghista - anzi, nordista tout court - alla devoluzione di competenze cruciali dallo Stato verso le Regioni, non trova corrispondenza in tale débâcle dell’affluenza (nelle Politiche del 25 settembre 2022, pur calando di ben 9 punti, si attestò intorno al 63 per cento).

«Le Regioni sono finite», taglia corto il politologo Beppe Vacca, che oggi intervistiamo a pagina 3. Forse è una previsione troppo severa, ma di certo dovrebbe finire l’illusione o la chimera di affrontare grandi problemi rinserrandosi in entità sempre più piccole. L’egoismo fobico del Settentrione, non disdegnato da taluni governatori del Sud, viene smentito dal voto di Milano e di Roma. Il paradosso? La frettolosa approvazione dell’autonomia differenziata lo scorso 2 febbraio per offrire un feticcio identitario alla Lega di Salvini giusto in vista delle elezioni.

Ora le strade sono due, in primis per il governo di Giorgia Meloni, ma anche per le opposizioni: indietro tutta verso l’ultimo mulino del Po oppure avanti «in mare aperto», provando a ridisegnare una nazione finalmente unita e moderna, europea e non diseguale, all’altezza delle sfide enormi che ci attendono.

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