Dopo il caso a Roma
Giallo serial killer: le menti omicide e le tecno-indagini
Il trans e le due donne uccisi nel quartiere Prati affiorano da una cronaca sanguinaria non confinata alla Capitale. Restando a Roma, però, non si possono ignorare dei capisaldi dell’inquietudine collettiva
«Venticello de Roma…» cantava in altri tempi Renato Rascel. Ma oggi, ai soffi ristoratori del ponentino si sovrappongono le agghiaccianti folate della pazzia annientatrice, che ormai percorrono l’intera penisola del Bel Paese, trascinato nelle derive comportamentali della società post-moderna. Si sfaldano i legami della famiglia, del vicinato, del bar all’angolo, e chiunque diviene per l’altro the familiar stranger, il solito estraneo.
Il trans e le due donne uccisi nel quartiere Prati affiorano da una cronaca sanguinaria non confinata alla Capitale. Restando a Roma, però, non si possono ignorare dei capisaldi dell’inquietudine collettiva.
Anni fa il magistrato Otello Lupacchini e il giornalista Max Parisi scrissero “Dodici donne un solo assassino”, in cui collegavano la scomparsa di Emanuela Orlandi a una serie di omicidi, o meglio femminicidi, avvenuti nella Città Eterna, compreso quello, altrettanto oscuro, di Simonetta Cesaroni, ossia il delitto di via Poma. Secondo gli autori, la ragazza non fu vittima di un sequestro, bensì dell’adescamento da parte di un deviato deciso a infierire su di lei con la medesima crudeltà dimostrata in altri casi rimasti insoluti. Il vero colpevole sarebbe un serial killer mai identificato.
E il mostro di Firenze, con la traccia di sangue che tinge di orrore le campagne toscane dal ‘68 all’85? Ultimamente si mette in dubbio che a infierire sia stato davvero Pietro Pacciani.
Si ricordi la sigla “Ludwig”. La coniarono Wolfgang Abel e Marco Furlan, per imprimere un rituale neonazista alle 15 eliminazioni violente di nomadi, gay, preti e prostitute commessi dal 1977 al 1984, anno del loro arresto.
Gianfranco Stevanin dal ‘93 al ‘95, agricoltore di Terrazzo, in provincia di Verona, uccideva prostitute nel suo casolare e seppelliva i resti smembrati in un podere.
Agghiacciante il tiro al piccione di Ferdinand Gamber, nel 1996, a Merano, che subì per tre settimane l’incubo di un cecchino che elimina a caso quattro persone, una coppia di amanti e due uomini.
Per giungere a Donato Bilancia, che seminò il panico in Liguria e in Piemonte, nel biennio ‘97/’98. I 17 delitti da lui confessati includevano prostitute, ma anche vittime estranee a quel tipo di vita.
Negli interrogatori dei serial killer catturati, le motivazioni devono essere estratte dai labirinti delle loro personalità devastate e devastanti. Scrivono Brian Lane e Wilfred Gregg nell’introduzione all’Enciclopedia dei Serial Killers: «Perché arrivi ad uccidere, una persona deve innanzi tutto disumanizzare la propria vittima, deve ridurla a niente di più che un oggetto, col fine di distruggerlo.» Il serial killer sorge dalle tenebre di se stesso quando non si accontenta delle proprie fantasie. A volte gli basta dare un’occhiata all’oggetto di desiderio. Lo ribadisce Thomas Harris, in “Il silenzio degli innocenti”: «Si desidera ciò che si osserva.»
Anche in Italia le indagini si adeguano alle personalità decomposte dei serial killer. Lo spiegò in un’intervista l’allora Direttore della Scientifica, Giuseppe Maddalena: «Tutto inizia con l’esame della scena del delitto da parte degli agenti dei laboratori periferici. Se occorrono attrezzature particolari o un esperto, intervengono gli agenti dell’Uacv».
La tecnologia è la chiave per ricostruire i fatti avvenuti sulla scena del crimine. I primi elementi di prova sono acquisiti con semplici foto e riprese digitali, che fissano lo stato della vittima, dalla posizione alle ferite fino all’arma impiegata, se rimane sul posto, poi da inviare al centro operativo di Roma.
Apparati e intelligenze mobilitati sull’ennesima prima linea della convivenza civile, che separa la normalità dalle ombre espressioniste della follia. Hannibal Lecter, fin dal suo esordio quale protagonista inventato, era già in ritardo sulle impennate granguignolesche di una quotidianità imprevedibile, inspiegabile, incontrollabile. La sua raffinatezza, accentuata dal bel viso di Anthony Hopkins, sbiadisce dinanzi a una ferocia che non concede tempi di prevenzione.