L'editoriale
Con Fontana e La Russa la Meloni «chiude» la campagna elettorale
Sebbene immersa in quella che gli esperti definiscono campagna elettorale permanente, la fase post-elezioni a cui stiamo assistendo è quella che, più di tutte, vede finalmente emergere la scaltrezza e l’abilità politica spesso ingabbiate dalle sovrastrutture comunicative che ne anestetizzano il potenziale
A giudicare dai segnali provenienti dal centrodestra alla vigilia della nuova legislatura, in pochi si sarebbero aspettati che, a capo delle due Camere, fossero proposte due figure divisive come Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana. Una scelta ovviamente legittima, che rappresenta tuttavia un importante segnale che la coalizione, e più specificatamente Giorgia Meloni, mandano al Paese e alle opposizioni: la campagna elettorale è finita, e con essa la ricerca di legittimazione fuori e dentro i confini nazionali. Fontana e La Russa non sono infatti due figure qualsiasi, non hanno un profilo moderato né un appeal trasversale: sono, anzi, due fra i parlamentari più distanti da quella logica di unire il Paese con cui la leader di Fratelli d’Italia ha più volte provato a rassicurare le istituzioni e l’elettorato. Sono nomi espressione della destra, più che del centrodestra.
È contro le loro figure che si scontra, infatti, quel profilo moderato e istituzionale che Giorgia Meloni, e la coalizione tutta, sembravano avere intenzione di incarnare anche dopo il 25 settembre: da una parte il più autentico erede della tradizione missina di Giorgio Almirante, più volte costretto a giustificare atteggiamenti nostalgici ormai di un’altra epoca; dall’altra uno fra i più accesi sostenitori di Vladimir Putin, antiabortista, ultracattolico, contrario alle unioni civili e all’estensione dei diritti per i membri della comunità LGBTQIA+.
Scartata ben presto la possibilità di assegnare la Presidenza di una delle due Camere all’opposizione – una prassi ormai conclusasi con la fine della Prima Repubblica – l’elezione di due figure così polarizzanti stravolge le aspettative iniziali e traccia la strada per una maggioranza a trazione decisamente sovranista e destrorsa: sembrano ormai lontassimi i tempi in cui, durante la campagna elettorale, Meloni si divideva fra TV e giornali stranieri per accreditarsi anche all’estero, così come lontanissimo appare quell’atteggiamento prudente e istituzionale che a tanti commentatori, nei giorni successivi al voto, ricordava molto i toni del governo Draghi.
Sebbene immersa in quella che gli esperti definiscono campagna elettorale permanente, la fase post-elezioni a cui stiamo assistendo è quella che, più di tutte, vede finalmente emergere la scaltrezza e l’abilità politica spesso ingabbiate dalle sovrastrutture comunicative che ne anestetizzano il potenziale. La giornata di giovedì è stata in questo senso illuminante, rappresentando sì una notevole prova di forza di Fratelli d’Italia – capace di garantire l’elezione del senatore siciliano nonostante l’ammutinamento di 16 (su 18) dei Senatori di Forza Italia – ma svelando anche la debolezza di una coalizione che, ormai a pochi giorni dalla pressochè certa investitura di Giorgia Meloni, non sembra ancora in grado di trovare una quadra.
Non sono ancora “Pronti”, per citare lo stesso slogan utilizzato ripetutamente in campagna elettorale da parte di Meloni.
Nella confusione e nell’incertezza, è stato quindi Silvio Berlusconi a prendersi la scena: non sufficiente il tentativo di sabotaggio dell’elezione di La Russa, il Cavaliere ha poi tenuto a manifestare pubblicamente il suo disappunto nei confronti di colei che tutti definiscono ormai la premier in pectore. Dapprima lamentandosi coi giornalisti dei veti imposti da FdI al nome di Licia Ronzulli, poi definendo, su un foglio che le telecamere hanno intercettato mentre sedeva al Senato, il comportamento di Giorgia Meloni «supponente, prepotente, arrogante, offensivo». Da un grande precursore della comunicazione come lui, difficile immaginare che possa aver commesso una leggerezza del genere: più che per ricordarlo a sé stesso, quello di Berlusconi sembrava infatti un modo per raccontarlo al resto d’Italia senza tuttavia assumersene la responsabilità.
Una trovata comunicativa che racconta un disagio evidente e una verità matematica: salvo ulteriori – e ad oggi improbabili – scialuppe di salvataggio provenienti dall’opposizione, i voti di Forza Italia saranno necessari per permettere alla coalizione di avere una maggioranza in entrambe le camere.
I tempi stringono, e per il centrodestra inizia la parte più difficile: prima di fare comunicazione, è bene saper fare politica.