IL COMMENTO
I rincari dell’energia non possono rallentare la transizione ecologica
Ridurre le emissioni di anidride carbonica e di metano, al tempo stesso preservando lo sviluppo economico, è un esercizio da equilibristi
I consumatori di energia di tutto il mondo stanno fronteggiando una crisi di prezzo che fa il paio con quelle degli anni ‘70 del secolo scorso. Almeno un terzo dell’8 per cento d’inflazione del mondo avanzato è il riflesso dei rincari dell’energia, ancor di più in Europa. Le famiglie che si arrabattano per pagare le bollette sono inquiete, a volte furiose, invocano politiche di tutela del loro potere d’acquisto. I loro governanti sono tentati di tornare a spingere, per alleggerire il problema, le produzioni di fonti tradizionali, non rinnovabili, di energia, per quanto poco pulite.
La «decarbonizzazione» sta dunque perdendo terreno nell’agenda delle priorità dei popoli, dei governi, delle imprese? Ci sono oggi altre urgenze - la crisi energetica nel mondo, la guerra in Europa - di cui occuparsi innanzitutto? Ridurre le emissioni di anidride carbonica e di metano, al tempo stesso preservando lo sviluppo economico, è un esercizio da equilibristi. Il tema è diventato molto di moda, gli vengono pagati omaggi retorici in ogni convegno o comizio. Ma sono stati compiuti anche molti effettivi passi avanti negli ultimi anni, specie in Europa. Anche il mondo delle imprese si è mosso, dapprima prevalentemente riempiendosi la bocca di belle parole, poi iniziando a darsi obiettivi concreti, soprattutto da quando i principali investitori finanziari hanno preso a subordinare la concessione di finanziamenti o gli acquisti di azioni a programmi certificati, verificabili, volti a orientare comportamenti e acquisti dell’impresa verso le fonti di energia rinnovabile, e ne controllano occhiutamente la realizzazione.
Nel 2020 la pandemia aveva fortemente rallentato l’attività economica ovunque e quindi aveva attenuato il problema ambientale. L’anno scorso, con una ripresa economica più intensa dell’atteso, si è aperto un clamoroso divario fra la domanda mondiale di energia, che società vogliose di tornare alla normalità stavano facendo esplodere, e la capacità di soddisfarla da parte dei produttori di energia. Il risultato è stato un brusco aumento dei prezzi di tutte le fonti di energia: dal minimo raggiunto a metà 2020, in piena pandemia, alla fine 2021 il prezzo dal petrolio (qualità Brent) è salito di una volta e mezza, quello del gas naturale scambiato in Europa si è addirittura impennato di quindici volte. L’irrompere sulla scena dell’invasione russa dell’Ucraina e della tragica guerra che ne sta conseguendo ha ulteriormente fatto salire i prezzi internazionali dell’energia, in gran parte per il timore di ripercussioni sulle importazioni dalla Russia. Il combinarsi di una fiammata ciclica dei prezzi dell’energia con una vicenda extra-economica - la guerra fra Russia e Ucraina - ma che potrebbe avere pesanti ripercussioni sugli approvvigionamenti e quindi sui prezzi rischia di far retrocedere gli obiettivi di decarbonizzzione sia nella sensibilità dei popoli sia nelle agende dei loro governanti. Si ripropone così oggi, drammaticamente, quel “conflitto di obiettivi” che da sempre rende pieno di ostacoli il cammino verso uno sviluppo economico “sostenibile”, cioè compatibile con la sopravvivenza dell’ambiente fisico in cui il pianeta Terra è immerso: quello tra breve e lungo termine, tra veduta corta e veduta lunga.
Avere veduta lunga, preoccuparsi del benessere delle generazioni future è cosa nobile e altruistica, ma è facile da parte di chi non deve prendere decisioni politiche. Per trasformare questo afflato generoso in provvedimenti concreti occorre fronteggiare la naturale tendenza dei decisori a badare innanzitutto alle proprie convenienze di breve termine, che stanno tutte nel consenso dei propri elettori, attuali o potenziali, alle prossime elezioni, anche locali, o al prossimo sondaggio. Per un politico, farsi portabandiera di una battaglia per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica può far guadagnare il consenso di frange anche ingenti di elettorato sensibile ai temi ambientali, ma è molto più difficile che porti adesioni maggioritarie. Perchè dalla maggioranza dei cittadini dei nostri paesi avanzati, e ancor più da quelli dei paesi in via di sviluppo, viene visto come un obiettivo che guarda al futuro lontano, ma che intanto comprime le legittime aspettative che la gente nutre per l’oggi. E il politico medio nelle democrazie moderne tende a essere un follower piuttosto che un leader.
Ma allora bisogna che la leadership la eserciti l’elettorato stesso. Nello specifico, dev’essere chiaro che rallentare nello sforzo di transizione ecologica per conservare nel breve periodo il proprio tenore di vita non è conveniente per nessuno, perché se si continua a usare energia “sporca” al ritmo attuale il pianeta sarà attraversato in pochi anni, non secoli, da cataclismi climatici che renderanno la vita un inferno. La consapevolezza di questo destino è già molto cresciuta, specie fra le ultime generazioni. Per i più giovani la prospettiva di un cambiamento climatico disastroso è fonte di angoscia, getta ombre sinistre sul loro futuro. Non è solo ideologia, non è solo slancio ambientalista, è l’amara intuizione di convenienze economiche che vanno per loro oscurandosi. Il dissidio fra veduta breve e veduta lunga può essere risolto da chi di veduta ne ha una sola e dichiara il suo voto di conseguenza.