IL COMMENTO
La guerra in Ucraina alimenta carestie e rivolte popolari
Questa volta l’Europa non può mancare, come ha mancato nella risposta alla globalizzazione già dal 1999
«Un raggio di speranza». Cosi il Segretario Onu Guterres ha definivo la trattativa di Istanbul fra Ucraina e Russia per lo sblocco via mare del grano ucraino. Si tratta di 22 milioni di tonnellate, destinati a 180 milioni di persone fra Africa e Medio oriente. Un raggio flebile ma su cui far leva. La situazione rimane drammatica. La guerra incrocia e alimenta carestia, rivolte popolari , migrazioni bibliche nel Mare Nostrum. Ucraina e Russia sono i maggiori esportatori mondiali di cereali, semi di girasole, fertilizzanti. Dalle loro esportazioni dipendono i Paesi «MENA»: Egitto, Libano, Yemen, Tunisia, Libia, Giordania, Marocco. La Fao stima che il blocco in corso aumenta a 1 miliardo e 600 milioni le persone sotto la soglia della povertà. E chiede di istituire un Fondo globale per cofinanziare le importazioni dei questi paesi anche su mercati di stoccaggio alternativi e strumenti di sostegno tecnologico per ridurre gli sprechi di cibo e nell’uso di fertilizzanti.
Turchia, Ucraina e Russia sarebbero oggettivamente interessati a uno sbocco positivo di questo negoziato: la Turchia per guadagnare un status di arbitro e garantirsi approviggionamenti a prezzi più vantaggiosi; l’Ucraina per non mandare al macero la produzione estiva prossima - già compromessa dalla distruzione di terreni e infrastrutture; la Russia per non apparire affamatrice dei Paesi su cui ha esteso la sua influenza. Ma ad uno sbocco positivo si potrà giungere solo con un’azione energica della comunità internazionale e un coordinamento Onu. E soprattutto se cambia lo scenario, se Usa e Cina prima di tutto converranno sulla strada del negoziato e non della guerra ad oltranza fra Ucraina e Russia.
La UE deciderà finalmente di scegliere unita la opzione negoziale? Ne va della sua esistenza. In questo passaggio della storia, la Comunità internazionale deve mettere in agenda un altro problema strutturale: il land grubbing. L’accaparramento, in forma di acquisto o di fitto , del «bene terra» da parte di Paesi come Usa, Canada, Svizzera, Cina, India e Giappone in molti Paesi africani. E delle multinazionali che detenendo il monopolio delle commodity fissano a livello sempre più alto il prezzo di grano, bioetanolo, olio di palma nelle borse mondiali. Dal Rapporto Focsiv (Federazione Organismi Cristiani servizio internazionale volontariato) illustrato a Roma, si documenta che negli ultimi 20 anni sono stati sottratti ai paesi in via di sviluppo 90 milioni di ettari di terra (una superficie uguale a quella di Germania e Francia ). Con fitti o acquisti bassissimi si sono costrette milioni di persone alla indigenza e alla fuga. Anche per l’impatto sull’ambiente delle scelte delle grandi agricole dei Padroni delle Terra: deforestazione e monoculura intensiva producono perdita grave di biodiversità, siccità e ancora carestie e migrazioni. Eppure esistono negli organismi internazionali Onu e Fao proposte per regolare i rapporti fra Paesi stranieri e governi locali dei paesi poveri per tutelare la loro sovranità alimentare. Senza una svolta continuerà «la terza guerra mondiale a pezzetti». Con la guerra guerreggiata, le sommosse, le migrazioni.
Di fronte a questa realtà quale deve essere la risposta dell' Occidente? Saggia la posizione di Kissinger: la contrapposizione militare fra i nuovi due blocchi Usa e Cina è pericolosa. C’è bisogno di rilanciare una nuova stagione di «convivenza competitiva». Da qui una possibilità per la stessa funzione della UE. Questa volta l’Europa non può mancare come ha mancato nella risposta alla globalizzazione già dal 1999 (tra l'altro con tredici paesi su 15 a guida socialista). Allora si filosofò sulla teoria dello sgocciolamento: l’aumento gigantesco della ricchezza nei commerci internazionali gestiti dalle potenze finanziarie (l’economia di carta di cui parlò Reichlin) avrebbe riversato automaticamente risorse anche ai ceti più in basso della scala sociale. Non è stato cosi. Una globalizzazione senza disciplina (Prodi) crea disuguaglianza colossali e spinge i più deboli verso la sirena dei regimi autoritari a est e dei sovranisti in Occidente. Fino a svuotare con l’astensione dal voto gli istituti democratici che si credeva modello di riferimento per il mondo «della fine della storia». No, senza politiche di tassazione delle grandi ricchezze (Pikety) e di redistribuzione la latitudine in cui viviamo può perdere la sfida egemonica planetaria nella nuova epoca.