Letteratura
La Bari lussuriosa di Andrea Piva
Nel romanzo «La ragazza eterna», una città di forti contrasti fa da sfondo a una dolorosa storia d’amore
Andrea Piva è tornato, e lo ha fatto in un modo che non passerà inosservato perché il suo nuovo romanzo è un pugno nello stomaco e una lente di ingrandimento sul mondo, fa piangere e ridere e soprattutto pensare, è un libro di quelli che dopo le prime due pagine capisci che devi leggere per forza, che non puoi avere scampo, perché c’è un mondo dentro che non vedi l’ora di conoscere eppure ti fa paura e al tempo stesso ti dà un’adrenalina allegra.
La ragazza eterna da oggi in libreria per Bompiani (pp. 360, euro 19), il terzo romanzo dello scrittore e sceneggiatore barese – sua, tra le altre, è la sceneggiatura del film cult Lacapagira diretto nel 2000 da suo fratello Alessandro – è un affascinante viaggio nella mente, anzi, nelle menti umane, capaci di produrre i pensieri più assurdi, sacrileghi, sostenuti dalla voglia quasi ancestrale di essere, appunto, eterni. Boccia, psichiatra barese, e Renata, bellissima ragazza ex fotomodella con un cervello e una cultura superiore alla media, si sono amati e li incontriamo nel giorno del matrimonio di lei, con un altro. Una sera però Renata suona all’improvviso alla porta di Boccia che nel frattempo è tornato nella sua Bari.
Una città lussuriosa e arida, dove albergano tutti i vizi del mondo, dalla cocaina che scorre a fiumi insieme all’alcol, al sesso consumato tra ricchi imprenditori e giovani donzelle, dalle frodi perpetrate dalla banca locale, alle insaziabili plurime voglie dell’alta società cittadina che si mischia con la politica e organizza feste nei superattici vista mare mentre in città si gira l’ennesimo film del regista di grido.
La stravaganza della donna nasconde qualcosa di tragico: ha un cancro, di quelli che non perdonano, ed è andata dall’unica persona al mondo che può capire, che sa anche senza sapere, perché persone così le incontri una volta sola nella vita. Boccia vuole provare a sperimentare con lei una terapia che in Italia è illegale, ma che all’estero ha avuto dei buoni risultati con i malati terminali, l’uso di sostanze psichedeliche quali la psilocibina, l’ayahuasca. Intorno, una serie di personaggi raccontati mirabilmente, vividi, tanto da risultare simpatici o antipatici, come fossero davvero umani. Una cosa resa possibile grazie alla scrittura dell’autore, colta e verace, quasi sanguigna, nitida, con degli affondi nel dialetto barese che appaiono del tutto necessari, oltre a strappare un sorriso.
Questo è anche un romanzo intimo, in cui ritroviamo un dolore indelebile dell’autore, con i riferimenti alla morte del fratello del protagonista. Bellissime sono le pagine che Piva dedica allo svisceramento di questo dolore autobiografico, quasi una purificazione. «Quel giorno disgraziato mi aveva lasciato una ferita inguaribile, e io mi ero scioccamente illuso di potere comunque andare avanti, magari per sempre, facendo finta di niente, come se niente fosse successo. Invece, di quel dolore, non dovevo vergognarmi; dovevo permettermelo senza giudizio perché accettando di comparare egoisticamente me stesso pensando alla sua morte liberavo la possibilità di contemplare con gioia i ricordi che di noi due conservavo, senza illuminarli sempre e soltanto della luce terribile che veniva dal loro futuro». E poi è una storia d’amore, di quegli amori che non finiscono mai perché ti sono entrati oltre che nel cuore anche nel cervello e nel sangue, eterni, come solo le cose che finiscono possono essere. Come la vita, finita, eterna, come la paura di morire, e forse anche un po’, di vivere.