Verso la premiazione

Veronica Raimo, dissacrare in cerca del vero, forse

Maria Pia Ammirati

La vincitrice dello Strega Giovani nella «settina» dei finalisti

Comincia oggi la collaborazione con la «Gazzetta» di Maria Pia Ammirati, critica letteraria, scrittrice e direttrice di Rai Fiction

Inizia la stagione dei Premi letterari e lo Strega ha mandato in agone la sua cinquina che quest’anno è una settina dovuta a due ex aequo. Tra i sette finalisti il libro di Veronica Raimo, Niente di vero pubblicato da Einaudi (pp. 163, 18 euro), che vince anche il Premio Strega giovani e che, ci si può scommettere, farà incetta di altre medaglie. Al suo terzo romanzo la Raimo affronta il tema dell’autobiografia familiare e della formazione. Raimo è una scrittrice di tempra, capace di spolpare le storie attraverso la secchezza ben lavorata delle parole, tramite il cortocircuito che pratica tra modo borghese e belluina realtà. Niente di vero riporta alla ribalta i temi più vicini alle orchestrazioni narrative della scrittrice romana come la falsificazione e il tradimento partendo dal presupposto che ogni storia, vista dalla propria lente deformante, è una storia a sé. La giusta dose di spietatezza ci regala il genere, raro per la narrativa italiana, della comicità.

Il libro di Raimo fa ridere o sorridere, è a suo modo spietato ma divertente, del resto guardare ai guasti della propria esistenza, verificare i fallimenti delle proprie famiglie, è un’arte che o penzola verso la lagna retorica o si imbizzarrisce verso le forme del grottesco e del comico. Come avviene nella storia-vita di Veronica-Verika (nome che eccentricamente usa la madre della protagonista) che osservando la sua famiglia la rappresenta sghemba, storta, furiosa, brutta, mendace, colorata e fantasiosa e mai bella, o meglio a volte con squarci, unici e spietati, di una bellezza disarmante. D’altra parte scrivere di se stessi è un’arte complessa che chiama in causa il gioco della dissimulazione.

Veronica gioca con la verità dissacrando il reale e da adolescente prima (diversa dalle altre) osserva il mondo dei grandi che le stanno più a tiro, il padre maniaco dell’ordine, la madre ora morbosa ora lassista; da adulta poi il mondo dei coetanei a partire dal fratello con cui esiste una lotta antica per primeggiare o (forse) solo per coabitare in una sorta di complicità raffinata. Ecco quindi che si svela il romanzo: Niente è vero ma tutto è verosimile quando la materia narrativa è così intima, e quando le possibilità di essere rappresentati è infinita, perché ogni cosa dipende dal punto di vista da cui si osserva la realtà.

Veronica Raimo non nasconde, sin dal titolo, che esiste un mondo che è frutto costante della manipolazione della realtà dove la memoria dell’io narrante è sempre sabotata da altre memorie o da cadute sentimentali, come avviene in famiglia, un luogo del compromesso e del confronto dove tante vite sono costrette a intrecciarsi tra loro. Verika è a suo modo vera e falsa e se guarda alla madre o al padre, mentre li descrive nel quotidiano, lo fa non per tradire la loro esistenza ma per interpretarla, in un atto dissacratorio estremo vede la propria famiglia diversa da tutte le altre, fa capolino a volte la caricatura dei personaggi, la cui diversità si appiccica addosso fino al tormento, fino al dramma di sentirsi soli al mondo.

La protagonista del romanzo guarda le figure familiari senza un vero e proprio giudizio ma anche senza empatia, senza tenerezza ma come a un sano reportage di un interno borghese: «Nella mia famiglia usavamo tutti le parolacce, tranne mia madre che le subiva come il fumo passivo dei due pacchetti e mezzo di MS morbide che mio padre si fumava ogni giorno». La placida normalità della madre, insegnante pedante e un po’ fuori di testa, un padre maniaco dello spazio che esce di scena troppo presto per la morte improvvisa. Unico specchio (forse) veritiero il fratello con cui condividere il lavoro, un certo modo di stare al mondo da sbilenchi, la tortura di scrivere: «Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita…». Veronica è una donna nuova, frutto del suo tempo, che trasforma la sofferenza di vivere in una risata, che supera il disagio familiare smontando la retorica delle convenzioni sociali, ma anche superando cliché femminili legati al sesso e alla maternità, al tema dell’amore. Non so se e quanto ricorra in questo romanzo la parola amore, ma vado a braccio, molto poco. La vera rimozione, che quindi non ha a che fare con la falsificazione, è proprio l’amore. Non se ne parla, non si nomina, né si tace del tutto. Sappiamo che da qualche parte c’è questo sentimento nascosto con il quale Veronica prova a fare dei patti silenti, al capezzale del padre per esempio o quando decide di abortire e non vivere la maternità come una vocazione. Sentimento diffuso e persino confuso con le tendenze del momento : «...tornai in quell’ospedale per un’interruzione di gravidanza. Era l’anno in cui molte persone che conoscevo facevano figli o scoprivano di essere celiaci». Dove è chiaro lo sbilanciamento dei due temi funziona a contrasto per, come dire, abbassare il tono drammatico del tema aborto. Ecco così funziona Niente di vero, per bilanciamento, bilanciare la pesantezza del dramma di vivere sfruttando la leggerezza dell’ironia e del sarcasmo. Dissacrare sempre per scoprire il vero, forse.

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