Serie B
Tangorra scuote il Bari: «Le parole di De Laurentiis? Per calmare la piazza e basta»
«Chi vuole andare in A deve creare una base solida. Qui va al contrario...»
All’indomani delle conferenze stampa del presidente Luigi De Laurentiis, del direttore sportivo Magalini e del suo vice Di Cesare, il clima attorno al Bari resta denso di interrogativi, attese e, soprattutto, malumori. La scelta di Fabio Caserta come nuovo allenatore segna l’inizio di una nuova fase, almeno a parole.
In questo contesto, spunta la voce di Massimiliano Tangorra che del Bari conosce pregi e contraddizioni, emozioni e fragilità. Ex calciatore e osservatore attento della realtà biancorossa, Tangorra mostra sempre una lettura schietta e appassionata dei fatti. A lui il compito di analizzare tutti i nodi di questo momento.
Mister Tangorra, partiamo dalle parole del presidente De Laurentiis che ha parlato di “progettualità importante” e dell’obiettivo di consegnare il Bari in serie A entro tre anni. Le sembrano dichiarazioni credibili o più un tentativo di placare la piazza?
«Si vuole calmare la gente. De Laurentiis non ha mai brillato in fatto di comunicazione. Il fatto stesso che buona parte della tifoseria lo abbia smascherato non credo darà seguito agli abbonamenti. Sarà un segnale si sfiducia verso una proprietà che ogni anno ha raccontato promesse che non si sono verificate. Del resto, si continua a farlo con continui avvicendamenti tecnici, più prestiti che giocatori di proprietà. Qualche numero fiscale è stato fatto col Napoli. Penso a Caprile, Cheddira e Folorunsho. Giocatori che avrei fatto tornare anche dopo una loro parentesi in A. O quantomeno li avrei tenuti per creare una base solida, con lo stesso allenatore e pochi correttivi. Questo vuol dire voler portare la squadra in A. E non quello che si racconta sui libri delle favole».
Durante la conferenza stampa, De Laurentiis ha ribadito la volontà di trovare un partner solido per il futuro del club. Lei crede davvero che ci sia un progetto concreto dietro queste parole o siamo ancora nel campo delle intenzioni?
«Nei propositi solo perché è costretto a farlo. La strada è obbligata. Ma nei fatti concreti, questa programmazione non la vedo».
Il nuovo allenatore Fabio Caserta ha parlato di entusiasmo, fame e voglia di lottare. Che idea si è fatto di questa scelta tecnica? È l’uomo giusto per guidare il Bari in un momento così delicato?
«All’inizio sentiamo tutte frasi di facciata. Caserta è un discreto allenatore, ma non ha vinto campionati di B. Come, per esempio, Pippo Inzaghi ora al Palermo».
Il direttore sportivo Magalini ammette errori nella costruzione della rosa dell’anno scorso e promette una squadra più affamata e motivata. Dopo le ultime stagioni, pensa che la società abbia imparato dai propri sbagli?
«Credo poco alle chiacchiere. Guardo e valuto i fatti. Se non ricordo male, il direttore sportivo a fine campionato aveva assicurato che saremmo andati ai playoff. Prima di lavorare in una piazza, bisognerebbe studiarne i libri di storia. Documentarsi sulla cultura sportiva della tifoseria e poi parlare. Inutile parlare per luoghi comuni facendo uscire aria fritta dalla bocca, quando con i fatti non si mantiene ciò che si promette. In pochi hanno il seguito e il blasone del Bari dove, se fai bene, lo stadio diventa una bolgia. Non si può trattare questa tifoseria come si si fosse a Cittadella, a Lucca o a Mantova. Rispettabili, ma con pedigree diversi».
Di Cesare ha sottolineato la necessità di trovare leader veri e calciatori di proprietà. È davvero questa la chiave per costruire un Bari competitivo o servono anche investimenti più coraggiosi?
«Tra due anni scadono i termini della multiproprietà. Quando inizierà questa inversione?».
Si parla di arrivi imminenti come Verreth e Cerofolini, e di tante trattative in chiusura per Pagano, Quagliata, Di Stefano, Calvani, Guerini e Pandolfi. Che giudizio dà alle prime mosse di mercato? Sono profili all’altezza delle ambizioni dichiarate?
«Sembra si stia cambiando parecchio. E non è sempre positivo. Quando si modifica di anno in anno, compreso l’allenatore, si riparte ogni volta da zero. A nomi, squadre che abbiano stravinto campionati non ne ricordo. Al mio paese, quando si puntava a vincere si programmava. Cosa che vedo continua a non esserci, per quanto la Filmauro sia a Bari da un bel po’. Ringiovanire la rosa? Forse è tardi. Il 2028 si avvicina. Le figurine si attaccano agli album, non fanno vincere i tornei».
Il tema della multiproprietà resta centrale e divisivo. Lei ha spesso parlato della mancanza di programmazione. Crede che finché resterà questo assetto societario, il Bari sarà sempre frenato?
«De Laurentiis sa bene che deve tentennare ancora per un paio d’anni. Nella peggiore delle ipotesi, senza acquirente, si lasceranno le chiavi del club al sindaco».
I tifosi hanno manifestato apertamente il loro dissenso, tra contestazioni e promesse di disertare lo stadio. Quanto pesa, secondo lei, questa frattura tra società e piazza?
«Pesa perché la società non comunica le vere intenzioni che, ormai, sono palesi. Da una parte, portare la squadra in A e rivenderla. Dall’altro, questo comporta una programmazione che, ripeto, nasce da più lontano. I 70mila spettatori di Bari-Cagliari non sono arrivati per caso. Ma non si è dato seguito a quella botta di fortuna che, se va bene, arriva ogni sette anni».
Lei ha più volte invocato trasparenza e comunicazione chiara. Dopo queste conferenze stampa, ha visto segnali di cambiamento o è solo un maquillage estivo?
«Non è cambiato nulla e non succederà nulla sino a che la proprietà non passerà la mano».
Infine, quali sarebbero le sue prime mosse per ricostruire credibilità e ambizione?
«Il punto che mi avrebbe fatto ricredere sarebbe stato la creazione di un centro sportivo e di un settore giovanile. Questo avrebbe dimostrato seriamente l’ambizione di portare Bari in alto. Si tratta di investire. Invece, le squadre giovanili si allenano raminghe in campi diversi. Per ottenere risultati partendo da zero servono almeno cinque anni. Siamo fuori tempo. Dalle fondamenta crei le plusvalenze del futuro e il senso di appartenenza che nessuno sinora ha mai avuto».