serie b

Bressan indica la strada: «Bari, sii ambizioso i playoff sono il minimo»

antonello raimondo

Mauro Bressan ha giocato in maglia biancorossa per due stagioni, dal 1997 al 1999. Carlo Regalia lo ingaggiò, a fine contratto, dopo l’esperienza a Foggia

BARI «Due chiacchiere sul campionato di serie B? Con piacere. Guardo tantissime partite di calcio e, poi, ho un occhio di riguardo per le mie squadre. Bari c’è ed è una parentesi che porto nel cuore». Mauro Bressan ha giocato in maglia biancorossa per due stagioni, dal 1997 al 1999. Carlo Regalia lo ingaggiò, a fine contratto, dopo l’esperienza a Foggia. Cinquantasette presenze e una rete con i Galletti.

Esterno a tutta fascia, giocava indifferentemente a destra e a sinistra. Grande temperamento, personalità, un jolly utilissimo visto che se la cavava benone anche da mezz’ala. A Bari s’è fatto apprezzare subito, calciatore di grande rendimento. Non a caso, insomma, dopo il club dei Matarrese arrivò l’indimenticabile esperienza a Firenze, al fianco di campioni come Batistuta e Rui Costa.

Bressan, frequenta ancora il mondo del calcio?

«Assolutamente sì. Guardo tantissime partite, ho collaborazioni con società e procuratori. E poi il calcio mi piace sempre da impazzire».

Se le dico Bari, cosa le viene in mente?

«Grandissima piazza, tifosi pazzeschi. E una vagonata di ricordi».

Innanzitutto la serie A...

«Sì, due campionati in A e tantissime soddisfazioni. Eravamo un gruppo eccezionale e infatti riuscimmo a salvarci con grande anticipo giocando anche un buon calcio».

Tante imprese, anche.

«Ebbene sì. Abbiamo battuto squadre blasonate con la forza degli umili. Fascetti e Regalia fecero un grandissimo lavoro. E poi il presidente Vincenzo Matarrese, una persona dolcissima che è impossibile dimenticare. Ripeto, eravamo un gruppo di ferro. Mi spiace solo che tre di quei compagni siano volati in cielo. Penso a Mancini, Ingesson e Masinga. Un dolore enorme».

Oggi qui a Bari si vivono anni abbastanza particolari.

«Seguo le vicende biancorosse. E capisco che si è creato un certo scollamento tra la tifoseria e la squadra. Un peccato, conosco molto bene le potenzialità dei baresi. Il problema è uno solo, se ti chiami Bari devi cavalcare l’onda dell’ambizione. A Bari non puoi vivere stagioni di transizione. Bisogna provare a vincere pur sapendo che vincere è molto complicato».

Che idea si è fatto degli obiettivi reali?

«Andare ai playoff è il minimo, non scherziamo. Arrivare ottavi non può essere motivo di soddisfazione. Ci sono squadre con organici superiori e penso alla Cremonese. Ma sei il Bari e devi arrivare prima di Cesena, Juve Stabia e anche dello stesso Catanzaro».

Come valuta la rosa a disposizione di Longo?

«Buona, direi. Basterebbe dare un’occhiata al parco attaccanti. Mi piace Dorval, che sta facendo un ottimo campionato. Penso alle certezze Maita e Benali. E poi, Maggiore: se sta bene in serie B può spostare gli equilibri. L’ho detto un un’intervista poco dopo il suo ingaggio e mi pare che abbia cominciato alla grande con due gol. Longo può contare su un organico di livello. E in un campionato così equilibrato secondo me devono essere gli allenatori a fare la differenza».

Lei ha giocato anche a Como. Lì c’è una proprietà che gioca a fare le cose in grande. Come mai il Bari non fa mai gola a imprenditori così “potenti”?

«Mi creda, un mistero. Ma sono convinto che prima o poi anche Bari avrà la sua grande possibilità. Lì da voi ci sono potenzialità incredibili. Se chiedessero a me un parere... non esiterei un attimo a spingere un investitore verso il capoluogo di Puglia».

Como, sì. Ma resta Firenze la sua esperienza più «pesante». Quel gol in rovesciata poi....

«Mamma mia, a volte mi chiedo ma cosa ho combinato? In rovesciata, in Champions League e per giunta contro il Barcellona. Nella vita serve sempre un pizzico di sana follia. Io ce l’avevo ma l’ho sfruttata poco. Proprio in quella partita feci un’altra giocata pazzesca, chiudendo un triangolo pazzesco con Balbo. Ero su di giri. Ecco, ai giovani dico... abbiate sempre coraggio, serve entusiasmo e ambizione».

Oggi, però, guardare una partita di calcio è diventato abbastanza noioso.

«Troppa tattica. La sublimazione del calcio è il dribbling. Serve gente di qualità e va esaltata. Guardate Ranieri a Roma con Dybala, la cosa più importante è mettere l’argentino nelle condizioni di fare la differenza. Invece sempre più spesso mi capita di vedere fantasisti che rincorrono avversari a tutto campo. Così si mortificano il gioco e lo spettacolo. Per non parlare dei settori giovanili che danno sempre più importanza alla tattica a discapito della tecnica. Lasciamo i ragazzi liberi di esprimere il proprio talento».

La costruzione dal basso, gli uno contro uno a tutto campo. Non è che si sta perdendo un po’ il senso del gioco?

«Vedo tutti i calciatori un po’ ingabbiati. Potremmo stare giorni e giorni a fare certi discorsi. Continuo e pensare che il calcio sia dei tifosi e ai tifosi piace vedere le belle giocate e i calciatori di fantasia».

E i gol come quello suo al Barcellona...

«Ogni volta che lo rivedo... è un tuffo al cuore. Ancora oggi mi chiamano tanti giornalisti da Firenze. Gira e rigira poi si finisce sempre a quella rovesciata. Bello, no? Il calcio è questo».

Cosa sente di dire ai tifosi del Bari?

«Ragazzi, tenete duro. Non perdete per strada l’orgoglio per quella maglia e il senso di appartenenza. Guai a mollare, sono anni complicati ma bisogna continuare a sperare in un futuro migliore. Io, a tanti chilometri di distanza, continuo a urlare “Forza Bari”. Perché so di cosa parlo».

Privacy Policy Cookie Policy