Il caso

Brindisi, il farista della Marina risolve il giallo: «Quella lanterna è esposta a Taranto»

Andrea Pezzuto

Carito (Storia Patria): «È parte dei racconti sul porto. Non privare la città della memoria»

BRINDISI - Il faro originario risalente agli anni Trenta del Novecento fu portato a La Spezia, il secondo faro è stato invece musealizzato e si trova a Capo San Vito, a Taranto. È quanto ricostruisce da Sergio Masciopinto, «farista» della Marina militare, che nella sua lunga carriera si è occupato anche del faro del castello Alfonsino.

Negli anni Ottanta, racconta Masciopinto, il faro originario venne smontato a seguito della instabilità della struttura e venne portato a La Spezia.

La Marina militare realizzò una rete di protezione metallica e decise di installare una lanterna rotante di diametro inferiore, quindi più leggera, così da gravare meno sulla pericolante struttura.

Risolto questo problema, successivamente se ne presentò un altro: il cavo che portava la corrente sull’isola di Sant’Andrea si guastò, perché risalente agli inizi del Novecento. Dopo una interlocuzione tra Enel e Marina militare, a causa della mancanza di risorse si decise di smontare anche questo secondo faro, che - come riferito da Masciopinto - si trova adesso esposto nel faro di Capo San Vito di Taranto, dove è stato allestito un piccolo museo.

La storia arriva infine ai giorni nostri, con l’installazione di un faro dotato di pannelli fotovoltaici, che venne smontato assieme alla struttura nel 2017 e mai più ricollocato al suo posto, in cima al castello Alfonsino, come invece promesso in quel periodo dalla Soprintendenza.

La struttura portante della lanterna, alta circa 15 metri, è attualmente depositata all’interno del capannone ex Saca in attesa di un intervento di restauro. Si tratta di un’architettura piuttosto «rara», copiata da un faro realizzato sulla costa inglese.

Sull’importanza di quel faro interviene Giacomo Carito, presidente della Società di Storia Patria per la Puglia, sezione di Brindisi: «Dismesso il compendio dalla Marina militare sul declinare dello scorso secolo, nel secondo decennio dell’attuale - spiega Carito - anche per il faro giunge il momento di cessare l’attività. Si era smarrita certamente la sua funzione ma non la necessità della memoria; furono a tal fine date ampie assicurazioni di persistenza del manufatto, musealizzandolo. Va rilevata l’importanza della struttura di supporto, elemento di grande interesse anche per le pochissime repliche che si conoscono di questa tipologia di incastellamento. Pare evidente che, fatto salvo appunto l’incastellamento, oggi comunque in attesa ancora di restauro ma quantomeno conservato in struttura protetta, il recupero andrebbe completato con ciò che dà senso e significato a un faro, ossia ciò che ne assicura e offre visibilità. I manufatti costituiscono concreti supporti alla memoria. In questo senso, ciò che è legato al porto entra nella storia quasi individuale di quanti hanno abitato e abitano Brindisi. Il faro dell’Alfonsino è nei racconti dei marinai e dei pescatori di Brindisi memoria viva, che non può essere privata del concreto manufatto».

Carito ricorda poi che «in ausilio ai naviganti furono eretti, tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, non pochi fari a vantaggio di quanti erano diretti verso il porto di Brindisi: quelli di Punta Penne, di Punta Riso, di Isola Traversa. Particolare importanza aveva il faro eretto sulla sommità del castello Alfonsino poco meno di un secolo addietro, che assicurava visibilità piena. L’ingresso nel porto non era semplice per l’esistenza di secche che le navi dovevano assolutamente evitare. Dalla sommità delle fortezze di Sant’Andrea, il faro ha assistito silente agli eventi di buona parte del secolo breve. Ai suoi piedi, si direbbe, sbarcò il 10 settembre 1943 il re Vittorio Emanuele III - conclude Carito - trasferendo a Brindisi la sede del Governo».

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