Giudiziaria
Brindisi, omicidi Cairo e Spada, parla Morleo: «Signor giudice chi mi accusa mente»
Il presidente della Corte lo blocca: «Si esprima sui fatti non sui testimoni»
BRINDISI - «Buongiorno, signor illustrissimo presidente e signori della Corte. Premesso che io, Cosimo Morleo, non sono uno stinco di santo, non sono quello che si dice sul mio conto. Riguardo a quel testimone, è giusto che si sappia, per chi non lo conosce, chi è ancora oggi: è un bugiardo patologico, perché dice tante bugie senza rendersi conto di smentirsi da solo».
Ha voluto rendere dichiarazioni spontanee Cosimo Morleo, imputato davanti alla Corte d’Assise di Brindisi, con l’accusa di essere stato il mandante degli omicidi degli imprenditori Sergio Spada e Salvatore Cairo, entrambi attivi nel settore degli articoli per la casa.
Il corpo di Cairo venne «vilipeso e distrutto, impedendo una sepoltura dignitosa ai suoi cari». Cairo sarebbe stato accoltellato e il cadavere fatto a pezzi con la sega per poi essere bruciato a maggio 2000. Spada venne «prelevato mentre entrava nel cancello di casa, luogo sicuro per antonomasia e ucciso a bruciapelo con un colpo di pistola alla tempia, a distanza ravvicinata» a novembre 2001. Il cadavere venne lasciato nella sua auto, abbandonata in una piazzola di sosta sulla superstrada Brindisi-Lecce. Entrambi, stando alla ricostruzione del pm della Dda di Lecce, Milto Stefano De Nozza, sarebbero stati uccisi perché avrebbero intrapreso strade in concorrenza con quella della famiglia Morleo che avrebbe voluto lavorare in regime di monopolio. Il pm ha contestato le aggravanti della premeditazione e del metodo mafioso.
Morleo, difeso dagli avvocati Luca Leoci ed Elvia Belmonte, ha preso la parola dalla casa circondariale di Voghera, in videoconferenza, lo scorso 18 aprile, e ha fatto riferimento all’imprenditore ascoltato come teste, il 21 marzo, su citazione dal pm della Dda. In quella occasione, l’imprenditore riferì alla Corte che, all’epoca, la sua segretaria gli riferì che era stata contattata dallo stesso Morleo che le disse: «Gli taglio la testa e ci gioco a pallone».
Collegato in videoconferenza dal carcere di Palermo, il fratello di Cosimo Morleo, Enrico, accusato di essere stato l’esecutore materiale degli omicidi (difeso dall’avvocato Giacinto Epifani).
È stato l’avvocato Leoci a far presente alla Corte che Cosimo Morleo voleva rilasciare dichiarazioni. E il presidente Maurizio Saso, dopo aver ricordato che l’imputato ne aveva facoltà e che le dichiarazioni «devono riferirsi ai fatti contestati, ai fatto di causa e che non devono divagare», ha lasciato la parola dall’imputato, per poi interromperlo. «Non è consentito che lei esprima giudizi e valutazioni sui testimoni», ha detto Saso. «Se lei ha da dire delle cose sui fatti oggetto delle imputazioni, le dica, altrimenti, non può fare valutazioni o giudizi irriguardosi nei confronti di alcuno».
Morleo, quindi, è stato interrotto e l’udienza è proseguita con l’ascolto, fra gli altri, di un amico di Cairo e dell’ex collaboratrice di Spada.
«Conoscevo Cairo da quando eravamo ragazzi», ha detto il teste che ha ricordato che l’imprenditore «aveva una borsa che portava sempre appresso e questa cosa mi colpi». Quella borsa Cairo l’avrebbe portata con sé nei giorni precedenti alla sua scomparsa: «Mi sembrava strano che l’1 maggio, un giorno di festa, si portasse appresso il lavoro».
La collaboratrice di Spada ha riferito di essere a conoscenza di un fax che all’epoca venne spedito dalla Mc Europa di Cosimo Morleo a un’altra azienda: «Ci preoccupammo perché Sergio (Spada, ndr) era il punto di riferimento di ogni cosa e quando scomparve, quando venne ucciso, c’erano tante persone che provavano a svilire l’azienda e a levare l’esclusiva. C’era il pericolo che la società di Cosimo Morleo, potesse levarci l’esclusiva con la ditta che ci forniva le batterie da cucina», ha detto in udienza.