L'inchiesta

Trani, regali e favori in cella: rischiano 30 agenti penitenziari

Redazione inchieste

L’accusa dei pm: trattamento di favore per un nipote del boss Savinuccio Parisi e per un condannato per omicidio . «Taglieggiato l’imprenditore D’Introno»

BARI - Avrebbero fatto favori a detenuti «pesanti» in cambio di regali e denaro. Ma con altri detenuti non avrebbero esitato a usare materie forti, minacciando di impedire colloqui e videochiamate se non avessero ottenuto ciò che chiedevano. È per questo che sette ex agenti di polizia penitenziaria del carcere di Trani adesso rischiano il giudizio con le accuse, a vario titolo, di corruzione, concussione, depistaggio e falso ideologico.

L’udienza preliminare è stata aggiornata al 24 gennaio davanti al gup Marina Chiddo, dopo la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dai pm Francesco Tosto e Giuseppe Aiello che a ottobre hanno chiesto al giudice di includere tra le parti offese anche Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che con le sue denunce ha fatto arrestare gli ex magistrati Michele Nardi e Antonio Savasta e che in quei mesi era recluso nel carcere di Trani: scontava la condanna per usura che aveva invano tentato di evitare, pagando tangenti per ottenere sentenze favorevoli.

L’ex comandante delle guardie carcerarie Vincenzo Paccione, 46 anni, di Canosa, il sovrintendente Vincenzo Cellamare, 60 anni, di Bari, e l’ispettore Antonio Cardinale, 60 anni, di Gallipoli, sono accusati di concussione nei confronti di D’Introno. Avrebbero costretto lui e la moglie a promettere denaro e altri regali, minacciando in caso contrario l’imprenditore di farlo trasferire in un carcere lontano da casa e di farlo «punire» da altri detenuti. Cellamare avrebbe ottenuto 800 euro a settimana, consegnati dalla moglie di D’Introno, due cesti natalizi e altri regali. Paccione avrebbe chiesto un televisore, un telefonino e un pc portatile. Lo stesso Cellamare avrebbe chiesto altri 1.800 euro attraverso un «pizzino» che D’Introno doveva consegnare alla moglie. Un altro ispettore, Albino Parenza, risponde di tentata concussione: avrebbe provato a costringere un altro detenuto ad accusare di estorsione D’Introno.

I fatti contestati si riferiscono al periodo del Covid tra 2019 e 2020 e sono emersi (anche) grazie alle denunce di alcuni colleghi degli agenti penitenziari. Cellamare (finito in carcere a novembre 2021) e Cardinale (ai domiciliari) con ogni probabilità sapevano delle indagini in corso, e avrebbero fatto pressioni sui loro colleghi affinché cancellassero le prove dei favori fatti ai detenuti come ad esempio la memoria dei cellulari utilizzati per le videochiamate...

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