Nella Bat
Violenza donne, la storia della pugliese Francesca: «Ho denunciato ma ho perso il lavoro»
L’amara conclusione di una vittima: in Puglia non c’è un organismo d’aiuto dal punto di vista occupazionale
«In Puglia non c’è un'organizzazione capace di aiutare le donne vittime di violenza dal punto di vista lavorativo».
Il messaggio che Francesca (nome di fantasia) rivolge alle istituzioni ed al mondo dell’imprenditoria è forte e chiaro. Ha bisogno di un lavoro, il prima possibile. Ma sopratutto di riavere la sua dignità. A 56 anni rimettersi in gioco non è facile, ma lei ce la sta mettendo tutta. E spera che, leggendo la sua intervista alla «Gazzetta», qualcuno le possa dare una nuova opportunità.
Francesca, lei ci ha raccontato di essere vittima di violenza.
«Sì, da parte del mio ex marito. Ho sopportato anni di insulti e minacce. Ha persino provato a sfregiarmi. Sono stata costretta a subire una vita di angherie, l’ho fatto per i miei quattro figli e perché sono cattolica. Ho stretto i pugni e sono andata avanti, lavorando».
Perché non ha chiesto aiuto nel corso di tutti questi anni?
«Mi vergognavo, ecco la verità. Vivo in un piccolo paese del Nord Barese, ho sempre lavorato nelle associazioni di volontariato, all’epoca i tempi erano diversi. C’era pregiudizio nei confronti delle persone divorziate. Tutti mi prendevano come un esempio da seguire, non ho trovato il coraggio. La società ti guardava sempre con disprezzo, come se la colpa fosse solo tua. Magari adesso sarebbe stato diverso».
All'inizio del vostro rapporto lui come si dimostrava?
«L'ho conosciuto che ero ancora una ragazzina, ma già c'erano dei piccoli segnali che io purtroppo non avevo percepito. Un giorno voleva picchiare un ragazzo da cui io e una mia amica eravamo andate a studiare perché mi aveva accompagnata a casa, visto che stava piovendo. Poi d'estate mi costringeva a indossare gonne lunghe e maniche a tre quarti. Ho scoperto i suoi tradimenti ma l’ho sempre perdonato, ero molto innamorata».
Non l'ha mai denunciato?
«Alla fine sì. Ma non è stato preso nessun provvedimento nei suoi confronti. I carabinieri volevano collocarmi in una struttura protetta, ma ho rifiutato perché non avrei avuto la possibilità di seguire i miei figli».
Non si è mai confidata con nessuno? Quando ha sentito il bisogno di dire basta?
«Quando ho visto che gli atteggiamenti violenti erano rivolti anche ai ragazzi. Non ho coinvolto nessuno, mi sono confidata solo con due amiche molto strette. Poi, nel 2020, ho chiesto aiuto ad un centro antiviolenza. Una decisione che ho preso da sola, facendo affidamento esclusivamente sulle mie forze e senza il supporto di nessuno. Alla fine lui è andato via da casa ed ora sta con un'altra persona. Ma per colpa sua io ho perso il lavoro».
Cosa è successo?
«Il mio titolare un giorno ha ricevuto tre chiamate anonime: una voce gli diceva che lo avrebbero ammazzato se non mi avesse licenziato. Poiché anche lui stava passando un momento difficile a malincuore mi mandò via, dicendo che non poteva avere altri problemi. Ho 56 anni, sono ragioniera, ho tanta voglia di avere un lavoro dignitoso ma non è facile».
Il personale del centro antiviolenza non l'ha aiutata?
«No. Mi hanno detto che purtroppo gli imprenditori sono prevenuti ad assumere donne con storie di violenza alle spalle, non vogliono problemi. Mi sono rivolta anche al sindaco del mio paese, ma dice che non sa come aiutarmi. Purtroppo il mio ex marito ha contratto debiti anche a mio nome, e adesso non so più come andare avanti. Non voglio la carità di nessuno, io voglio lavorare, riacquistare la mia dignità e vivere la vita che non ho mai vissuto».