Il processo

Canosa, il pentito fa il mea culpa e racconta 6 casi di lupara bianca

Linda Cappello

Deposizione fiume in aula di Lorenzo Campanella, collaboratore dal 2019. «Ora sono un'altra persona»

TRANI - Ha parlato per quasi otto ore Lorenzo Campanella, il collaboratore di giustizia canosino fra i principali accusatori dei presunti responsabili di ben quattro omicidi che furono commessi fra il 2003 e il 2015.

La sua deposizione nell’aula della Corte d’Assise di Trani (presidente Giulia Pavese, a latere Luca Buonvino e i giudici popolari) è durata dalla prima mattinata di venerdì fino al pomeriggio inoltrato.

A processo ci sono Sabino Carbone, 40 anni, Daniele Boccuto di 31 anni, Cosimo Damiano Campanella di 82 anni e il nipote omonimo di 39 anni (rispettivamente padre e figlio del pentito), Pasquale Boccuto, di 42 e Cosimo Zagaria di 38 anni.

Quattro i casi di lupara bianca verificatisi a Canosa fra il 2003 e il 2015: quello di Sabino D’Ambra, ucciso secondo gli inquirenti a gennaio 2010, quando aveva 34 anni. Intendevano punirlo, secondo l’accusa, poichè era ritenuto un confidente della polizia.

Giuseppe Vassalli, scomparso a 26 anni ad agosto 2015. Secondo l’accusa il movente sarebbe stato sia passionale sia criminale. Il 26enne aveva intrapreso una relazione con l’ex fidanzata di Cosimo Zagaria, che per questo lo aveva anche minacciato.

Gli altri due casi di lupara su cui il processo intende fare luce sono quelli di Alessandro Sorrenti, 26 anni, e Sabino Sasso, 21, scomparsi a dicembre del 2003.

«Ho capito di aver sbagliato, adesso sono un’altra persona», ha dichiarato ai magistrato, in merito alla sua scelta di collaborare con la giustizia. Lorenzo Campanella - così come il figlio Andrea - si è pentito nel dicembre 2019.

Nel corso del suo lungo racconto ha sostanzialmente confermato tutto quanto già riferito al pm della Dda di Bari Luciana De Silvestris nei verbali del 2018 e del 2019.

Ha specificato di aver parzialmente assistito soltanto all’omicidio di Sabino D’Ambra. Al riguardo ha detto di essere arrivato nella masseria del padre, in località Cefalicchio, e di aver visto di sfuggita una sagoma posizionata su una branda sopra un cumulo di legna, dell’altezza di circa un metro e mezzo. Circostanza, questa, contestata dalla difesa, che ha prodotto argomentazioni di ordine tecnico in base alle quali per distruggere il cadavere di D’Ambra sarebbero serviti ben 600 chili di legna, che di certo non potevano essere dell’altezza di un metro e mezzo. Oltre ad aver ravvisato alcune incongruenze nel suo racconto, gli avvocati nel corso del controesame hanno evidenziato la circostanza che campanella, all’inizio della sua collaborazione, aveva trascorso due mesi nella stessa cella insieme con il figlio Andrea, anche lui pentito. Circostanza, questa, in contrasto con la normativa in base alla quale due pentiti non possono stare insieme prima di aver testimoniato nel processo scaturito dalle loro dichiarazio ni. Tanto per non minarne l’attendibilità.

Per quanto riguarda gli altri delitti ne avrebbe avuto solo conoscenza indiretta.

La prossima udienza è stata fissata per il 20 gennaio, quando sfileranno in aula alcuni operatori di polizia giudiziaria. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Sabino Di Sibio, Giovanni Battista Pavone, Giosuè Bruno Naso. Il comune di Canosa si è costituito parte civile.

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