La protesta delle marinerie
Stop alla pesca fino a fine settembre: «Fermo biologico da riconsiderare»
«Noi ignorati». Operatori tra mercato d’importazione e invasione dei tonni
Il fermo biologico, previsto ogni anno dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, ha come obiettivo quello di «far riposare il mare» e tutelare le risorse ittiche. Tuttavia, gli operatori del settore parlano di un «provvedimento imposto senza consultazione, inefficace dal punto di vista biologico e con gravi ripercussioni economiche». È scattato ieri (per chiudersi il 29 settembre) lo stop alle attività di pesca nelle marinerie del Barese (da Molfetta a Giovinazzo, Bari, Santo Spirito, Torre a Mare, Mola e Monopoli).
Il fermo, nato con l’intento di tutelare l’ecosistema marino, si conferma ogni anno come un duro colpo per le marinerie locali. Tra i soliti ritardi nei pagamenti degli indennizzi, assenza di concertazione, porti in difficoltà (eclatante il caso-Mola che attende dal 1996 il dragaggio, prossimo ad essere avviato) e flotta ormai obsoleta, la pesca nel Barese appare sempre più come un mestiere in via d’estinzione. «È un fermo inutile – denuncia Fabrizio Sorino, amministratore di alcune coop di pesca di Santo Spirito, Bari e Giovinazzo - . A fine agosto le specie più comuni non si riproducono. Sembra più un favore alla vendita del pesce congelato e d’importazione».
Secondo gli armatori, il fermo alimenta solo il malumore nella categoria, aggravato dalla vicenda indennizzi: «La cassa integrazione dei fermi è insufficiente a indennizzare il lungo periodo di fermo». Nicola Natarelli, storico portavoce delle marinerie del basso Adriatico, rincara la dose: «Il fermo biologico è in vigore da 38 anni, ma oggi è gestito senza alcuna concertazione. Prima c’erano tavoli tecnici, oggi arriva una Pec e via. Intanto i contributi li paghiamo come se lavorassimo tutto il mese».
Anche Giovanni Masi, pescatore di Monopoli, pur riconoscendo l’utilità teorica del fermo, critica duramente il periodo scelto: «A fine estate si riproduce solo la triglia. Se davvero vogliamo aiutare il mare, il fermo va fatto a maggio o giugno, quando i pesci depongono le uova». Il blocco delle attività durerà 45 giorni e, secondo gli operatori, avrà effetti pesanti sull’offerta locale: mancheranno merluzzo, triglie, gamberi rosa, pannocchie, sogliole, totani, seppie, alici. «A questo si aggiungano le presenze, triplicate, dei tonni – aggiunge Masi – predatori del pesce azzurro che stanno svuotando il mercato locale».
Quali sono le cause dell’invasione dei tonni? Secondo Fedagripesca-Confcooperative, «sono da ricercare nelle rigorose normative europee che rendono il tonno la specie ittica commerciale più tutelata. Questo ha innescato un vero e proprio boom della popolazione di tonni pinna gialla e rossi, con effetti negativi su altri stock ittici. Non vorremmo trovarci ora a considerare il tonno da risorsa a minaccia e dover pianificare abbattimenti selettivi, come accade per i cinghiali». Per questo, le organizzazioni chiedono maggiori investimenti nella ricerca scientifica per comprendere i cambiamenti in atto nei mari e nel clima e individuare azioni di contrasto ad una crisi che mette a dura prova le 1.455 imbarcazioni pugliesi. Significativo il dato sulle attività di pesca nel compartimento barese: un terzo dei 300 pescherecci a strascico ha chiesto l’arresto definitivo.