l'inchiesta

Bari, maxi frode fiscale con false forniture : le intercettazioni degli imprenditori arrestati

ISABELLA MASELLI

L’indagine ha portato all’arresto di quattro persone: avrebbero avuto «contatti ramificati con il mondo imprenditoriale per garantirsi sempre nuove fonti di reddito»

BARI - Avrebbero avuto «contatti ramificati con il mondo imprenditoriale, per garantirsi sempre nuove fonti di reddito, ossia clienti fittiziamente destinatari delle fatture», ma anche «con il mondo bancario e delle forze dell’ordine» le due presunti menti - e i loro complici - del raggiro milionario messo in piedi dal 2018 al 2023 con 1.250 fatture per operazioni inesistenti a carico di 165 operatori economici per un importo di oltre 10 milioni di euro. L’inchiesta della Gdf, coordinata dalla pm Luisiana Di Vittorio, sulla maxi frode fiscale è ormai chiusa (anche se sulle società coinvolte sono ancora in corso le verifiche contabili) ma dagli atti emergono nuovi particolari.

L’indagine nei giorni scorsi ha portato all’arresto di quattro persone: gli imprenditori baresi Luigi Biagio D’Armento e Francesco Porcelli, ritenuti a capo del gruppo e i presunti sodali Antonello Savino e Gaetano Finestrone. Per D’Armento e Savino, assistiti dall’avvocato Gioacchino Ghiro, dopo gli interrogatori di garanzia il giudice ha poi revocato la misura cautelare ritenendo cessate le esigenze cautelari. In particolare, per D’Armento - che ha in parte ammesso gli addebiti - la gip Paola Angela De Santis ha evidenziato che i rapporti con Porcelli si sarebbero interrotti all’indomani della notifica, a maggio 2023, della richiesta di proroga delle indagini, quindi non potrebbe reiterare i reati. Per Savino, ex dipendente di Porcelli, la gip valorizza lo stesso aspetto, e cioè l’interruzione di ogni contatto e rapporto (di lavoro e personale) tra i due ormai più di un anno fa. Significative della sistematicità con cui avrebbero gestito la frode ci sono numerose intercettazioni. D’Armento e Porcelli, per esempio, il 15 novembre 2022 stavano commentando in una conversazione le modifiche del Governo in materia di antiriciclaggio e, in particolare, all’innalzamento della soglia del pagamento in contante a 5mila euro, circostanza che da gennaio 2023 avrebbe consentito di fare «cose croccanti».

L’inchiesta ha rivelato che il gruppo criminale, attivo tra Bari e Bitonto, avrebbe emesso fatture per operazioni inesistenti «nei confronti di società realmente esistenti provvedendo al prelevamento e alla restituzione in contante delle somme trattenendo l’Iva». In pratica, gli indagati avevano creato un mercato tramite il quale, dopo aver «venduto il denaro» e con esso la falsa fattura, rientravano in possesso della liquidità attraverso i bonifici eseguiti dai clienti, comprensivi del 22% di Iva sulla somma consegnata che costituiva il prezzo del «servizio» reso.

Complessivamente gli indagati sono 31 e tra loro ci sono anche quattro finanzieri e tre funzionari dell’Agenzia delle Dogane da cui è partita l’indagine, accusati di essersi impossessati di merce da sequestrare nel porto di Bari e poi di averla rivenduta, oltre a un direttore di banca e il dipendente di un ufficio postale di Bari, che avrebbero violato le norme antiriciclaggio agevolando i prelievi di contanti. 

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