il caso

Maternità surrogata, sì al doppio cognome: fa scuola l’atto di nascita iscritto a Bari e finito in Cassazione

alessandra colucci

Diventerà un caso di scuola? Certo è che la legislazione italiana deve comunque fare i conti con un nuovo modello familiare

Una storia uguale a molte altre: una coppia si innamora, decide di avviare un progetto di vita comune che passa attraverso il matrimonio prima e la maternità dopo; dopo un po’ l’amore finisce e inizia la battaglia legale, soprattutto legata alla gestione della bambina nata da quell’amore. Ed è qui che la storia uguale a molte altre diventa totalmente diversa e chiama in causa la Cassazione.

La coppia, infatti, è composta da due donne che si sposano a New York e hanno la bambina mediante il ricorso alla maternità surrogata, pratica vietata in Italia. La bambina, infatti, nasce negli Stati Uniti e l’atto di nascita viene trascritto nei registri dello Stato Civile del Comune di Bari, con l’indicazione delle due mamme – una genetica e l’altra di intenzione – che, però, come detto, dopo qualche tempo pongono fine alla relazione.

La Corte di Cassazione entra in questa storia quando interviene – con sentenza dello scorso 11 settembre – dichiarando inammissibile, per carenza di un interesse concreto ad agire, il ricorso proposto dai nonni (genitori della mamma genetica), volto alla rettificazione ex art. 95 d.p.r. n. 396/2000 dell’atto di nascita con riferimento al solo nominativo del genitore di intenzione. In sostanza, la richiesta era che il nome della mamma intenzionale sparisse dall’atto di nascita e dunque, di fatto, venisse meno il rapporto legale tra una delle due genitrici e la minore.

La decisione della Suprema Corte ha comportato la conferma delle statuizioni assunte dai Giudici del merito nonché la tesi del legale della mamma intenzionale, difesa, sin dal primo grado di giudizio, dal prof. avv. Domenico Costantino, docente di diritto di famiglia dell’Università “Aldo Moro” di Bari.

Una tesi volta a preservare, prima di ogni altra considerazione, i diritti della bambina, frutto di un progetto di genitorialità condivisa, nonostante una delle due mamme non abbia alcun rapporto genetico e/o biologico con la piccola. Si è tutelato, dunque, il miglior interesse della minore, nata e cresciuta con entrambe le donne, che ha riconosciuto in entrambe il genitore, dunque il punto di riferimento, soprattutto nella delicatissima sfera affettiva.

Diventerà un caso di scuola? Impossibile a dirsi al momento, soprattutto alla luce della motivazione che ha condotto al rigetto del ricorso per Cassazione promosso dai nonni della minore. Certo è che la legislazione italiana deve comunque fare i conti con un nuovo modello familiare, che rispetta un andamento sociale ormai consolidato, con persone dello stesso sesso che decidono di creare una famiglia e avere figli. Ma non si tratta di una questione legata esclusivamente alle coppie omosessuali: anche coppie etero, che non riescono ad avere figli, ricorrono a pratiche vietate in Italia e quindi si recano all’estero. Il problema giuridico deriva quindi dalla differenziazione tra i genitori: ci sono quelli che hanno un rapporto biologico e/o genetico con i bambini e quelli che, al contrario, sono definiti, come detto, di intenzione ovvero sono quelli che non hanno contribuito al patrimonio genetico del bambino ma che, in virtù del rapporto di unione con il genitore biologico, chiedono il riconoscimento del rapporto di genitorialità.

Dal punto di vista numerico, al momento non esistono dati graniticamente certi: una stima empirica fissa a circa 250 all’anno le coppie che ricorrono alla maternità surrogata, delle quali gran parte eterosessuali. Per quanto riguarda, infine, i figli di coppie omosessuali, anche in questo caso i numeri fluttuano per una serie di fattori: uno studio non confermato dello scorso anno, frutto di un’interpretazione di una ricerca di Arcigay del 2005, proiettata a venti anni dopo, li fissa tra i 100 e i 150mila.

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