I retroscena
Omicidio di Molfetta, parla l'educatore barese che conosceva Antonella Lopez e il suo killer: «Penso al dolore delle loro madri»
Il post di Raffaele Diomede, che per 24 ore è stato assessore al Comune: «Ricordo il sorriso di Antonella. Michele Lavopa? Lasciato solo dalle istituzioni»
BARI - «Conoscevo Antonella Lopez, figlia di un quartiere dove ho tentato di costruire un progetto ambizioso per la città di Bari, un luogo che doveva essere per i giovani, un laboratorio di storie possibili da ricostruire, di errori da perdonare, di un futuro da progettare insieme. Me la ricordo Antonella col suo sorriso accattivante, gentile con tutti, brillante come il sole, me la ricordo insieme alle sue amiche Rosy ed Angela fuori da Chiccolino ad aspettare Claudiu il giovane fidanzatino di Rosy, oggi coppia bellissima». Comincia così il lungo post su Facebook di Raffaele Diomede, storico educatore barese che ha voluto raccontare sulla piattaforma chi erano la giovane vittima dell'omicidio di Molfetta e il ragazzo che le ha sparato in quella maledetta notte tra il 21 e il 22 settembre nella discoteca Bahia di Molfetta.
Li conosceva entrambi, sottolinea, anche Michele Lavopa: «Fin da subito ci siam capiti come doveva funzionare il nostro legame educativo, le regole da rispettare, i compiti da svolgere. Ricordo la sua mamma, tenace, con l’unico desiderio di vedere crescere suo figlio sul solco del valore e degli errori da non ripetere… Penso allo strazio indicibile della mamma di Antonella, solo chi ha perso un figlio prematuramente può comprendere, ma penso anche al dolore della mamma di Michele allo sgomento che trafigge l’anima di chi sente di aver fallito come genitore. La morte di una ragazza è uno degli eventi più strazianti che si possano immaginare. Ci lascia con un profondo senso di ingiustizia. La vita di Antonella che aveva appena iniziato a germogliare, con sogni ancora non realizzati, progetti incompiuti e un futuro che sembrava infinito, si è interrotto in modo brutale e improvviso, lasciando chi resta a chiedersi "perché?", come siamo finiti così, come è possibile che giovani che alla loro età dovrebbero pensare solo a divertirsi, a coltivare i loro desideri, a sognare, possano ritrovarsi in una spirale di violenza inaudita».
«L’assenza di Antonella si sente nel silenzio interrotto solo dallo strazio del dolore dei famigliari, nel silenzio di un intero quartiere, nel silenzio di in ogni angolo della vita di coloro che l'hanno conosciuta. Ogni suo ricordo diventa prezioso e doloroso allo stesso tempo, come un filo sottile che lega chi è rimasto, a un passato che non sarà mai lontano. Un filo interrotto come la vita e le storie di due ragazzi, l’una morta a causa della mano dell’altro, ma entrambi vittime di dinamiche sociali tossiche, di un sistema sociale che fagocita tanti ragazzi come loro, in meccanismi autodistruttivi. Spesso mi consolo pensando che Kristian, Francesco, Nicola, Vito… ce l’hanno fatta. Si sono conquistati un posto sicuro sul palcoscenico della vita. Con coraggio ed impegno sono riusciti ad affrancarsi da un destino criminale solo apparentemente ineluttabile. Forse Michele avrebbe meritato più attenzione dalle istituzioni, forse avrebbe meritato più opportunità di crescita e sviluppo, forse avrebbe meritato più ascolto, forse non sarebbe finita così».
E poi la conclusione: «Nell’oblio del quotidiano vivere, in una società alla deriva sociale ed educativa, Antonella in un certo senso, ci lascia una lezione di eternità: vivere nei cuori che l'hanno amata, come una fiamma che, nonostante il vento in una fredda notte a Molfetta, non si spegne mai davvero. A destarci dal torpore della rassegnazione, a pretendere azioni coraggiose affinchè non ci sia mai più un’altra vittima innocente e un altro giovane a premere un grilletto. Vola in alto e brilla come sempre Antonella!».