Il caso

Cataldo, in un video la difesa dopo l'arresto: «Un complotto contro di me. Mi stavo occupando delle primarie di Bari, mi dissero di stare attento»

Massimiliano Scagliarini

L’interrogatorio dell'ex marito della Maurodinoia davanti al gip: «Mai comprato voti». Ma la Procura non gli crede

BARI - Quando è stato perquisito contestualmente alla notifica degli arresti domiciliari, Alessandro Cataldo aveva con sè una borsa di pelle. Al suo interno i carabinieri hanno trovato una pen drive Usb. Contiene un lungo filmato, già trascritto in formato professionale, che potrebbe costituire la sceneggiatura di un film di spie. La trama di un complotto. O forse, come ritiene la Procura di Bari, costituisce la traccia di un depistaggio.

La storia è emersa durante l’interrogatorio di garanzia di ieri e può essere raccontata così. Il 12 marzo, vale a dire 24 giorni prima dell’arresto eseguito su ordine dei pm baresi Claudio Pinto e Savina Toscani, Cataldo si sarebbe incontrato con Armando De Francesco, ex consigliere circoscrizionale di Bari e soprattutto suo ex braccio destro nell’attività che ruota intorno alla formazione universitaria. È proprio dalle parole di De Francesco, registrate a sua insaputa dal maresciallo della Finanza Gerardo Leone e a sua volta finito ai domiciliari, che inizia tutta l’inchiesta sul «metodo Sandrino»: la descrizione fatta per filo e per segno da De Francesco del sistema con cui Cataldo sarebbe in grado non solo di comprare i voti, ma anche di verificare in modo scientifico che il «pagato» corrisponda a quanto effettivamente ottenuto dai candidati di «Sud al centro». A partire dalla sua ex moglie Anita Maurodinoia, ex assessore regionale Pd, pure lei indagata per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale.

In questo incontro del 12 marzo (l’ordinanza di custodia del gip Paola De Santis è stata depositata il 20 marzo ed eseguita il 4 aprile), De Francesco avrebbe chiesto scusa a Cataldo per averlo «messo in mezzo», spiegandogli di averlo fatto perché «pagato» da quel maresciallo Leone che lui (De Francesco) risulta aver contattato su Messenger il 20 gennaio 2021 («buonasera Maresciallo, mi dedicherebbe alcuni minuti, vorrei parlare con lei di persona, le potrei servire la testa su un piatto d'argento del suo peggior nemico, attendo sue»). Cataldo, ascoltate queste parole, si sarebbe rivolto a un suo amico investigatore privato di Bari per farsi microfonare e tornare dall’ex collaboratore di cui ha registrato le «confidenze». Ritrovate, già belle e sbobinate, sulla chiavetta Usb che Cataldo aveva con sé al momento dell’arresto.

Ieri, dunque, oltre a negare recisamente di essere responsabile di una compravendita di voti per le elezioni di Triggiano del 2021 (l’unica accusa su cui il gip Paola De Santis ha ritenuto sussistenti a suo carico i gravi indizi di colpevolezza), Cataldo ha in sostanza detto di essere vittima di accuse costruite a tavolino: un piano ordito da Leone, perché il maresciallo lo considera responsabile di averlo rovinato, e messo in atto tramite De Francesco che era arrabbiato con lui perché non rieletto al Municipio nel 2019 e dunque convinto di essere stato tradito. Per questo De Francesco si sarebbe rivolto a Leone. Il maresciallo - riassumono negli atti di indagine i pm - «riferiva ai suoi medesimi superiori della telefonata ricevuta da De Francesco nella serata del 16 febbraio 2021, nel corso della quale quest'ultimo lo avrebbe informato di essersi nei frattempo rivolto e confrontato col consigliere regionale avv. Davide Bellomo, suo amico di vecchia data, e che su consiglio di quest'ultimo, si era recato dall’avv. Michele Laforgia, del Foro di Bari, per chiedergli espressamente di fissare un appuntamento in Procura con un magistrato, al quale avrebbe direttamente rilasciato le dichiarazioni già anticipate a loro. Tale incontro non risulterà essersi poi mai concretizzato».

«Nelle scorse settimane mi stavo occupando delle primarie del centrosinistra di Bari - ha in sostanza riferito ieri Cataldo davanti al gip -, e De Francesco mi chiamava con insistenza dicendo di non fidarmi di uno dei miei interlocutori. Alla fine gli ho chiesto di incontrarci per spiegarmi cosa intendesse dire, e l’ho registrato». Ma la Procura, appunto, è molto scettica, e contesta a Cataldo di non aver denunciato subito. Lui si è difeso spiegando che con il clima di contrapposizione politica di queste settimane il suo gesto poteva essere strumentalizzato.

Per comprendere il contesto di questa storia bisogna fare un passo indietro. Nell’estate 2015, mentre l’indagine della Finanza su presunti appalti venduti alla Provincia di Bari in cui erano coinvolti sia Cataldo che l’allora moglie Maurodinoia era alle battute finali, il maresciallo Leone è finito ai domiciliari con l’accusa di aver tentato di estorcere soldi a Cataldo. «Vedi che fra un po’ vi arrestano, ma se ci mettiamo d’accordo io e il luogotenente insabbiamo tutto», avrebbe detto Leone al Cataldo avanzando poi una richiesta di 40mila euro e di un posto di lavoro per la figlia. Cataldo però lo registra (con la collaborazione dello stesso investigatore privato consultato venti giorni fa) e nel marzo 2020 denuncia tutto alla Digos. E così la Procura di Bari fa arrestare il maresciallo per tentata concussione e rivelazione di segreto d’ufficio.


La versione del militare è ovviamente opposta ed emerge nel successivo processo, in cui Leone viene condannato a due anni soltanto per tentata induzione indebita: secondo il Tribunale Leone in sostanza non avrebbe preso soldi, e le presunte notizie riservate «erano state ampiamente riportate dai media, di modo che erano già di dominio pubblico». D’altro canto forse Cataldo non era del tutto inconsapevole dell'inchiesta che lo riguardava: «Ritiene il Collegio altamente probabile che il Cataldo, resosi conto, sulla base di notizie che negli ambienti della Provincia circolavano da tempo e delle generiche anticipazioni del Leone, che c’erano indagini anche nei propri confronti e della moglie, non intendendo sborsare denaro per uscire dall’impasse, abbia cercato di rendersi credibile e collaborativo di fronte alle Forze dell’ordine e all’Autorità giudiziaria, nella speranza di ottenere benefici premiali». È un fatto che l’inchiesta sulla Provincia non approdò a richieste di custodia cautelare, e si è poi di fatto chiusa in udienza preliminare a marzo 2022 con una raffica di proscioglimenti e prescrizioni: Maurodinoia e Cataldo sono stati prosciolti dall’accusa di corruzione, mentre è stata dichiarata prescritta (solo nei confronti di lei) l’ipotesi di falso ideologico. Il processo al maresciallo, invece, in Corte d’appello ha visto la riduzione della condanna a un anno e sei mesi: Leone (difeso dall'avvocato Antonio La Scala) ha fatto ricorso in Cassazione (udienza a maggio) e ha rinunciato alla prescrizione. La Cassazione ha chiesto di acquisire i verbali di udienza, cosa non propriamente usuale.

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