il caso

Bari Palese, mafia nigeriana nel Cara: confermate 23 condanne

isabella maselli

La sentenza d'appello: in mano alle gang il racket della prostituzione di vittime di tratta

BARI - Sfruttavano donne vittime di tratta e mendicanti, utilizzando metodi di «inaudita ferocia» tra pestaggi e accoltellamenti, riti voodoo e sette segrete dalla struttura militare. La Corte di Appello ha confermato 23 condanne (riducendo le pene, in alcuni casi più che dimezzandole) per i presunti componenti di due gang nigeriane, accusati di aver gestito per anni, all’interno del Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Bari, il racket della prostituzione di donne connazionali vittime di tratta e l’accattonaggio di mendicanti. E ha confermato, soprattutto, la mafiosità delle due gang.

I due gruppi criminali, ritenuti «gang cultiste» con una «struttura di tipo massonico e mafioso», denominati Vikings e Eiye, ma più noti come Rossi e Blu dai colori dell’abbigliamento scelto in occasione dei summit, secondo l’accusa avevano stabilito la loro base operativa nel Cara e operavano soprattutto nel quartiere Libertà.

L’indagine della Squadra Mobile di Bari, coordinata dalla Dda di Bari, fu avviata nel 2016 dalla denuncia anonima di alcune presunte vittime (nessuna si è poi costituita parte civile nel processo). La forza di assoggettamento e intimidazione dei due gruppi criminali era tale – secondo l’accusa - che persino le «maman» nigeriane che operavano a livello locale erano totalmente asservite alle loro richieste, relative alla necessità di piazzare ragazze in strada per farle prostituire. Stessa violenza era riservata ai mendicanti, costretti a pagare il pizzo sull’elemosina per garantirsi una postazione davanti ai supermercati di Bari e provincia.

Per arruolarsi nelle gang gli aspiranti adepti – hanno accertato ancora gli investigatori - dovevano sottoporsi a «prove di coraggio» con le mani legate e incappucciati, picchiati dagli affiliati anziani e, nell’atto di giurare, «costretti a bere una bevanda composta da sangue umano e alcol quale segno di fedeltà sino alla morte», con punizioni corporali nei confronti di chi non si adeguava alle regole, rifiutandosi di affiliarsi o di pagare la periodica retta di appartenenza e di prostituirsi. Le vittime hanno raccontato di veri e propri pestaggi, frustate, pugni, calci e bastonate con l’utilizzo di spranghe, mazze e cocci di bottiglia.

Gli imputati, tutti arrestati nel dicembre 2019, erano stati ospiti del Cara fino a un anno prima. Le condanne più elevate, a 11 anni e 2 mesi di reclusione (dai 19 anni e 8 mesi del primo grado) e a 10 anni e 2 mesi (da 18 anni), sono state inflitte rispettivamente nei confronti dei due presunti capi dei rispettivi gruppi, il 33enne Osas O Ighoruty e il 27enne Gbidi Trinity. Ernest e Benjamin Omoti sono stati condannati in appello a 9 anni di reclusione (da 14 anni), Okoh Godday, Benjamin Okoinemin, Monday Ogboy, Gods Pawara Agedo tra gli 8 anni e 8 mesi e gli 8 anni e 2 mesi di reclusione, Peter Maxwell a 7 anni e 8 mesi (da 12 anni), Otaniyen Sunday a 7 anni, Uwa Dickson a 6 anni e 2 mesi, Nosa John a 6 (da 14 anni). Per Olatunde Opaleye condanna ridotta in appello da 11 anni a 5 anni e 10 mesi di reclusione, per Sunday Victor da 12 anni e 6 mesi a 5 anni e mezzo, per Iyobor Oni a 5 anni e 4 mesi. Condanne sotto i cinque anni per Favour Obazelu, Abibu Omodibo, Harrison Thomas, Kenet Achokwu, Timothy Obinyan, God Day Paul, John Augustine, Ebuka Ilegbunam. Del collegio difendivo hanno fatto parte gli avvocati Silvio Giardiniero, Michele Marchetti e Adriano Pallesca. Per quattro imputati, avendo già espiato la pena, è stata disposta la scarcerazione con immediata espulsione.

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