Il caso
La Ocean Viking in stato di fermo a Bari: «Non ha fatto rotta diretta»
I membri dell'equipaggio sarebbero accusati di aver cambiato rotta dopo la segnalazione di un'altra imbarcazione con 70 migranti in pericolo
BARI - La nave Ocean Viking della Ong Sos Mediterranee, è in stato di fermo nel porto di Bari dove è arrivata il 30 dicembre per consentire lo sbarco di 244 persone salvate in zona Sar (Search and rescue) libica.
Lo ha comunicato la stessa Ong denunciando sul suo sito che «le autorità italiane accusano la Ocean Viking di non aver rispettato le istruzioni di procedere senza indugio e con rotta diretta, verso il luogo di sicurezza assegnato». «Supponiamo - dicono ancora dalla ong - che la nostra presunta inosservanza consista in un piccolo cambiamento di rotta avvenuto dopo aver ricevuto la segnalazione di un caso di pericolo con almeno 70 naufraghi a sole 15 miglia nautiche di distanza».
Il salvataggio però non sarebbe avvenuto perché «la posizione aggiornata dell’imbarcazione in difficoltà ha poco dopo mostrato che l’imbarcazione in pericolo si trovava a 60 miglia nautiche più a nord. A quel punto la Ocean Viking, non essendo più in grado di prestare assistenza, ha immediatamente ripreso la rotta verso il porto di Bari che è stato raggiunto senza alcun ritardo».
«Se seguire il diritto marittimo internazionale è un crimine, noi siamo colpevoli», afferma Anita, coordinatrice della ricerca e del soccorso a bordo della Ocean Viking evidenziando che «stiamo pagando questa piccola deviazione con il secondo fermo in due mesi».
La coordinatrice sottolinea che «il decreto legge Cutro, introdotto quasi esattamente un anno fa, è l’ultimo tentativo di un governo europeo di ostacolare l’assistenza alle persone in difficoltà in mare» in quanto «è stato concepito per tenere le navi Sar fuori dal Mediterraneo centrale per periodi prolungati e ridurre la nostra capacità di aiutare le persone in difficoltà, il che porterà inevitabilmente a un numero maggiore di persone che annegano tragicamente in mare».
«Punire le organizzazioni civili per aver svolto il lavoro di salvataggio che gli Stati europei non riescono a fare nel Mediterraneo centrale - conclude la ong - è un’inaccettabile criminalizzazione dell’assistenza umanitaria».