lo scandalo
Bari, «Filograno e Loprieno procurarono la coca che incastrò l’imprenditore»
L’appello della Procura contro i due avvocati accusati del complotto contro il rivale in amore del primo: «Ecco perché sono colpevoli di spaccio»
BARI - I 26 grammi di cocaina che una mano rimasta ignota ha nascosto nel 2014 nell’auto di un imprenditore di Gioia del Colle devono necessariamente essere stati «acquistati» e «consegnati» da qualcuno all’esecutore materiale del complotto. E siccome di quel complotto è stato ritenuto mandante l’avvocato Gaetano Filograno e concorrente il suo amico-collega Nicola Loprieno, i due non possono che aver commesso (anche) il reato di detenzione e spaccio di stupefacenti. È questo il ragionamento alla base dell’appello presentato dai pm Claudio Pinto e Savina Toscani contro la decisione con cui, il 2 ottobre, il gup Antonella Cafagna ha ritenuto insussistente l’accusa, mandando assolto Filograno (che ha scelto il giudizio abbreviato) e prosciogliendo Loprieno.
Un appello che verte tutto sulla qualificazione giuridica dell’episodio, visto che la sentenza del gup ha riconosciuto «circostanze fattuali non dubbie che assumono capacità dimostrativa di una partecipazione degli imputati» al complotto nei confronti di un imprenditore, punito perché aveva allacciato una relazione clandestina (poi diventata stabile) con l’allora moglie di Filograno. Tuttavia il giudice ha ritenuto che i due si siano macchiati di una simulazione di reato (ormai prescritta), e non di una cessione di stupefacenti finalizzata a «procurare» la droga alla (inconsapevole) vittima. La Procura è però di diverso avviso, e spiega nell’atto di appello che il termine procurare va inteso in un senso diverso: la condotta dei due avvocati è stata illecita perché consistita nel «procurare» la cocaina al terzo uomo, rimasto ignoto, che «materialmente provvedeva» a occultarla sull’auto dell’imprenditore. «Ciò avveniva, come riconosciuto in sentenza, su mandato del Filograno e con il concorso materiale di Loprieno».
I fatti risalgono a quasi dieci anni fa (per questo la simulazione di reato è prescritta), ma l’indagine è ripartita solo nel 2018 grazie alle dichiarazioni di un «pentito», Nicola Piperis, che il gup ha ritenuto credibile: è stato l’ex garagista, preoccupato di essere coinvolto nella vicenda, a raccontare ai pm come andarono i fatti, e dunque a spiegare che Loprieno fece arrivare alla Finanza una soffiata a proposito di un insospettabile imprenditore che arrotondava con la droga. La soffiata fu fatta al luogotenente Francesco Furchì, che a sua volta si rivolse ad alcuni colleghi: furono questi ultimi a fermare l’imprenditore, scoprire la «coca» nella sua smart ed effettuare un arresto che si è poi rivelato illegale.
L’accusa aveva chiesto una condanna a 4 anni per Filograno e il rinvio a giudizio di Loprieno, e lo stesso procuratore Roberto Rossi aveva sentito il dovere di intervenire in udienza per definire la vicenda «un fatto molto grave». Il gup ha condiviso la valutazione «etica», ma non quella in punta di diritto. Filograno sarà dunque sottoposto al processo di appello, mentre per Loprieno l’eventuale accoglimento dell’appello comporterà l’emissione del decreto che ne dispone il giudizio. E dunque potrebbe aprirsi il dibattimento davanti al Tribunale collegiale, dove verranno necessariamente chiamati a sfilare tutti i testimoni.
L’uomo centrale, oltre a Piperis, è proprio Furchì, 56 anni, calabrese, ora in servizio in un reparto amministrativo della FInanza. Il luogotenente, sentito a settembre 2020, ha detto ai pm di essere un amico di vecchia data di Loprieno: «Diverse volte mi ha dato delle notizie» - ha detto - compresa quella sull’imprenditore. In quella occasione Loprieno gli disse che l’uomo «era originario di Gioia del Colle, che aveva tra i parenti cattive persone e che (...) faceva qualche consegna di stupefacenti per arrotondare». Furchì ha riconosciuto di esere stato la causa di tutto, ma si è difeso dando da un lato la colpa ai colleghi operativi («Doveva riscontrare la notizia, se era vero che lui faceva questo, doveva aspettare che lui cedesse la sostanza stupefacente e non fermarlo»), dall’altro spiegando di aver chiuso i rapporti con Loprieno («Queste sono cose che non si fanno»). Una settimana dopo il militare si è ripresenta in Procura e cambiando versione su Piperis, che aveva detto di non conoscere, rivelando di esserci andato in vacanza un’estate insieme a Loprieno e alle rispettive famiglie: «Avevo dichiarato di non conoscerlo perché non ricordavo il suo cognome, perché per me era sempre stato Nicola “Porchetta”».