giustizia
Bari, «Aggredì tre poliziotti allo stadio San Nicola»: dopo 10 anni il Parigino finisce ai domiciliari
Il suo post su Facebook: «Ora come potrò accudire mia madre anziana e il suo cane?»
BARI - «È uno schifo, ho mamma ed un cane da accudire! ora non potrò più uscire di casa». Con amarezza, firmato Alberto «il Parigino». Lo sfogo appare sul profilo Facebook e risale a una settimana fa. Poi il silenzio. Alberto Savarese per la tifoseria organizzata e meno organizzata del Bari, per anni è stato un simbolo. Per molti lo è ancora oggi. Un simbolo idealizzato e trascendente, capace di polarizzare e incarnare le aspirazioni della grande comunità biancorossa ultras, nell'epoca in cui la Bari giocava con le grandi del calcio italiano della serie A e della serie cadetta.
Come è accaduto per la Bari, quella del Parigino è stata una saga fatta di alti e bassi, vissuta tra sofferenze e contraddizioni, riservando colpi di scena.
Savarese è caduto nella polvere, travolto con altri due ex capi ultras (Roberto Sblendorio e Raffaele Loiacono detto Lello «Panocchia»), in uno dei filoni principali dei processi baresi legati al calcio scommesse, si è rialzato grazie ad una assoluzione «perché il fatto non sussiste» (identico verdetto assolutorio per gli altri imputati), ha perso ancora l’equilibrio ed è nuovamente caduto, in maniera meno rovinosa, per ricominciare.
«Da 23 anni in mano alla magistratura, una vita in ostaggio!» il suo ultimo (in ordine di tempo) sfogo social, carico di mestizia e afflizione, lanciato in rete mentre, ha spiegato ai suo follower, era ancora «in attesa della notifica che mi impedirà di scrivere, andare a fare la spesa, portare giù il cane e vivere normalmente».
La Giustizia è tornata nei giorni scorsi a bussare alla sua porta esattamente 10 anni dopo la sua ultima intemperanza. Il fattaccio risale al 26 settembre 2013 nella cornice della partita Bari-Palermo (risultato finale 2 a 1 con reti di Ceppitelli e Sciaudone per i padroni di casa e Lafferty per il Palermo).
Il Parigino si presenta ai tornelli munito di «regolare biglietto di ingresso. Ero insieme al legale della società». Scoppiano dei disordini e lui ci finisce nel mezzo. «Spettava agli steward fare i controlli e invece - racconta - sono stato affrontato da tre poliziotti, che mi hanno aggredito fisicamente asserendo che non avevo titolo per entrare nello stadio».
La versione delle forze dell’ordine è differente. L’alterco tra gli agenti e il Parigino diventa scontro fisico. L’accaduto viene verbalizzato e nei confronti di Savareve avanzata l’accusa di resistenza e minacce a pubblico ufficiale. I tempi della giustizia a volte sono irragionevoli. L’ex capo ultras vuole lasciarsi alle spalle l’accaduto. Opta per il patteggiamento e viene condannato ad otto mesi. Spera che la storia finisca lì e che non ci siano strascichi.
«Nell’estate del 2020 ricevo una telefonata da una giovane assistente sociale la quale con tono perentorio mi informa che non avrei avuto “revisione critica” delle mie azioni». Tradotto vuol dire che Savarese non si sarebbe pentito della sua condotta.
«Nonostante vada a lavorare da Ciccio, mio amico fraterno - comunica Savarese ai suoi follower - nonostante accudisca mia madre molto anziana e il suo cane malato, che ha bisogno di essere portato all’aria aperta ogni giorno, la giudice che sta seguendo il mio caso ha deciso che devo stare ai domiciliari. In attesa della notifica che mi impedirà di scrivere, andare a fare la spesa, portare giù il cane e vivere normalmente, posto un pensiero.».
Da più di sette giorni i social che Alberto il Parigino utilizza per comunicare sono in silenzio. I «like» sulla sua pagina si sono moltiplicati fino a raggiungere quota 163 (più due condivisioni). Il suo grido di guerra prima di sprofondare nel silenzio è stato il seguente «Fossi sbarcato a Lampedusa ed avessi fatto una rapina sarei libero. siamo in Italia!».