Il personaggio
Bari, dal Libertà alle vette spaziali della Nasa, Gambacorta: «Non sono un cervello in fuga»
La scienziata barese Antonia Gambacorta in missione per fermare lo scempio del cambiamento climatico
BARI - Cambiamento climatico e pianeta da salvare, scienza e politica, impegno sociale e cervelli in fuga. E ancora: italiani all’estero e stili di vita, Bari, il sindaco Decaro e la pandemia, senza dimenticare il liceo Scacchi e la mitica focaccia del panificio «Magda». A Washington, dove vive con il marito e due figli di 10 e 5 anni, sono le 8 di mattina, ma Antonia Gambacorta, il tempo di sorseggiare un caffè ed è già a pieno regime.
Quarantanove anni, laureata in Fisica presso l’Università di Bari nel 2001, ha appena ricevuto il prestigioso premio «Nasa goddard 2023 for outstanding science» a Greenbelt, negli Stati Uniti, per la ricerca mirata a comprendere i cambiamenti climatici che stanno avvenendo nel nostro pianeta. «Sono arrivata negli Stati Uniti un anno dopo la tragedia dell’11 settembre. È stato agghiacciante, tutti pensavano al terrorismo e non c’era alcuna percezione del cambiamento climatico. Fu il documentario di al Gore ad iniziare a smuovere le coscienze. Vent’anni fa, appunto, era davvero difficile proporre il tema dei pericoli legati al cambiamento climatico. Ricordo che bisognava usare esempi basici come l’orso polare alle prese con lo scioglimento dei ghiacciai o il buco dell’ozono. Ora per fortuna il mondo è cambiato anche grazie all’arrivo dei social. Ricordo che per parlare con la mia famiglia avevo bisogno di un apposita scheda telefonica americana, non c’erano gli smartphone. E poi ora la pandemia ha creato un mondo diverso».
Facciamo un salto a vent’anni fa. Come è stato l’impatto con il nuovo mondo?
«Era appunto un mondo nuovo, tra paure e tante difficoltà. Arrivi con la laurea e una professionalità, ma devi ricominciare da capo. Devi rimetterti alla prova su aspetti che fino ad allora non avevi considerato, perché hai un bagaglio teorico immenso, ma negli Usa è tutto molto più pragmatico, anche il modo di studiare. Basti pensare all’uso che fanno dei laboratori molto più intensivo, veloce, pratico. Qui è tutto molto più competitivo, devi pubblicare, trovare fondi. Niente è facile».
Ci racconti dell’esperienza alla NASA.
«È un’esperienza trainante, coinvolgente perché la collaborazione è libera e competitiva, ma è decisivo il lavoro di gruppo. L’idea è che se lavoriamo tutti insieme, vinciamo tutti insieme. Certo non è ovunque così perché ho lavorato anche nel privato, e le dinamiche cambiano».
Come è arrivata negli Usa?
«A Bari ero in cerca di una tesi di ricerca con un fine sociale. Volevo fare qualcosa che servisse alla società. A Bari ho fatto le prime esperienze nel campo dell’accoglienza, con le manifestazioni per la pace e nel servizio civile internazionale dove ho trovato persone che mi hanno dato tanta umanità. Da studentessa di fisica volevo trattare il tema del clima. Ho conosciuto il mio supervisore, Vincenzo Berardi, che mi hai indirizzato al laboratorio del Dipartimento di fisica dell’Università Federico II di Napoli col professor Spinelli per fare la tesi in fisica dell’atmosfera. Da qui è nata la collaborazione con il Dipartimento di Greenbelt, della Nasa Goddard space flight center».
Ha toccato il cielo con un dito, è il caso di dirlo.
«A un invito dalla NASA a fare un dottorato di ricerca non si può dire certo di no. È il tuo sogno: aiutare a sconfiggere il problema del clima. Ho quindi chiesto scusa a tutti gli amici e sono partita. Ed eccomi qua».
Un vero e proprio cambiamento radicale.
«Io vivo i cambiamenti con grande fascino e ammirazione, ma noi come scienziati - e gli italiani sono numerosissimi - viviamo, lo dico senza alcuna presunzione, nella famosa “bolla”. Per alcuni versi guardiamo e affrontiamo le difficoltà quando ci immergiamo nella realtà. E la realtà americana soprattutto dopo la pandemia è il black Lives Matter ora è mutata notevolmente».
Si sente un cervello in fuga?
«Proprio il premio mi ha fatto riflettere su tante cose. Ho ricevuto tanti bei messaggi di vicinanza, stima e affetto, ma anche altre testimonianze di segno contrario, addirittura rancorosi, perché “l’Italia non farebbe abbastanza per i suoi cervelli”. Affermazioni che mi hanno stupito ma mi hanno anche fatto riflettere. Credo si debba riflettere su chi ha coniato questa definizione, fuga di cervelli, diventata una sorta di modello culturale che io non approvo. Io non mi sento in fuga. Io come tanti altri porto l’Italia all’estero. Invece è diventata un’accezione negativa, che l’Italia ha fatto di sé. Dovrebbe avere un valore positivo e invece è fuorviante, disincentivante, disfattista. Non è la giusta percezione da dare alle nuove generazioni. Ribadisco: noi non abbiamo abbandonato l’Italia. Abbiamo studiato in Italia e ora l’era digitale ci porterà a restare connessi. E poi voglio sfatare un altro luogo comune: non è vero che l’Italia non attrae. Il nostro Paese è trendy per tutti, ha eccezionali capacità creative. Dovremmo essere più rispettosi della nostra storia».
È cresciuta nel quartiere Libertà, che definisce «il più bello della città in assoluto». Ora come vede Bari dall’altra parte dell’oceano?
«Io amo la mia città e la mia terra, ma vivendo fuori rischio di essere l’ennesima turista che viene a Bari e mangia la focaccia e i pasticcini. In realtà l’ho sempre fatto», aggiunge ricordando i tempi della frequentazione «del liceo Scacchi e della focaccia di Magda».
Ha ricordato la pandemia. È stato un momento particolare vissuto a migliaia di chilometri di distanza dalla propria città natale.
«È stato difficile, ma per noi i baresi all’estero il sindaco Decaro è diventato un idolo. Con i suoi video ci ha fatto entrare nella nostra città durante il lockdown. Quando si è commosso è stato un momento molto toccante ma anche molto importante per noi baresi che non potevamo tornare a casa. Ci aiutato a superare la nostalgia».
Quanto le manca l’Italia?
«Conosce già la risposta. Quando siamo arrivati vent’anni fa negli Stati Uniti ci siamo immersi in una nuova realtà e siamo diventati cittadini americani. Certo ci siamo integrati, perché l’America è un melting pot che ti abbraccia, ti prende, ti coinvolge, ma quando dobbiamo fraternizzare e contarci ci ritroviamo tra italiani. I migliori amici sono Italiani. In ogni caso, siamo qui ma vogliamo continuare a essere la storia dell’Italia. Gli Stati Uniti sono coinvolgenti, soprattutto sotto l’aspetto lavorativo, ma l’Italia resta casa tua anche a tanti chilometri di distanza».
Lei del Sud, suo marito del Nord: che succede quando tornate in Italia?
«Mio marito va a Trento, io a Bari, che è un altro viaggio, tanto che i miei figli pensavano che Bari fosse da un’altra parte del mondo. Un appunto: arrivare a Bari è costosissimo e lunghissimo, noi siamo costretti a farlo via Monaco di Baviera che per fortuna adesso ha il diretto con la Puglia».
Il riconoscimento, intitolato al pioniere della missilistica Robert H. Goddard, celebra le eccezionali realizzazioni nella scienza e nella ricerca spaziale. Se lo aspettava?
«Sono stati premiati 22 anni di lavoro negli USA e 5 di studi di Fisica in Italia. Voglio ricordare che molto del lavoro che ho fatto è partito da Bari e Napoli. Non si trattava solo di fisica ma di un apprendimento più ampio che mi ha permesso un percorso più approfondito».
Le sue scoperte aprono nuove strade per affrontare le sfide climatiche globali, gettando luce sulla necessità di adottare misure immediate per preservare il nostro ambiente. Qual è il prossimo obiettivo?
«Mettere uno strumento su un aereo per otto settimane per vedere se riesce a leggere le proprietà dell’atmosfera. In caso positivo il passo il successivo è il satellite. Nel lungo termine, unire questa ricerca ad un linguaggio che possa essere compreso da tutti. Per risolvere il problema del cambiamento climatico. Occorre unire la scienza fisica e quella sociale, creando un legame inscindibile che dia una svolta per fermare lo scempio a cui stiamo assistendo. È importante che tutto ciò possa essere compreso dalla politica per cercare un modello globale che blocchi i disastri del cambiamento climatico. Il nostro sforzo è di generare dati indiscutibili, che poi siano intellectually free, a disposizione di tutti».