il carovita
Bari, una pioggia di rincari
Il cibo è aumentato del 29,2% rispetto a due anni fa
BARI - Il rallentamento dell'inflazione c’è (a maggio rispetto ad aprile), ma non è abbastanza per festeggiare. Non lo è innanzitutto perché i prezzi delle materie prime energetiche, sebbene in diminuzione, sono comunque a livelli tali da far storcere ancora il naso alle famiglie davanti agli importi delle bollette. Ma anche perché continuano a incidere moltissimo sul bilancio i listini dei prodotti alimentari, sia quelli lavorati (+13,4%) sia quelli non lavorati. Per pane, pasta, carne, pesce, frutta e verdura c’è stato peraltro un rialzo rispetto all’ultimo periodo (dal +8,4% +8,9% in Italia), come confermano i dati rilevati localmente: stando infatti al monitoraggio dell’Istituto pugliese per il consumo (cui sono affiliate le 15 associazioni di consumatori più rilevanti a livello nazionale e regionale), fatto nei mercati coperti di Santa Scolastica in via Papa Giovanni XXIII, Madonna del Carmelo in corso Mazzini e dell’ex Manifattura in via Ravanas, e in decine di supermercati della provincia (a Bari Coop di viale Pasteur, Deca, De.co, Dok, Famila, Lidl, fra gli altri) l’incremento dei prezzi si è verificato sia su base mensile (a maggio +0,5% rispetto ad aprile) sia su base annuale (+8,6%). Se poi si guarda a più lunga scadenza emerge che rispetto a maggio 2021 il cibo costa quasi un terzo di più: +29,2%.
MESE - Nella classifica generale dei rincari di maggio (su aprile) c’è un prodotto che in un mese è schizzato a dismisura: la pasta di farina integrale è aumentata nel Barese di 0,55 cent al chilo (+27,5%). Per un pacco da 500 g si è dunque speso quasi 30 cent in più. Ha impattato meno la pasta di grano duro, che ha registrato comunque un +8,9%. Considerando anche il pane (di farine integrali, di grano duro e i panini) si è pagato complessivamente il 6,1% in più in un mese. Proseguendo per tipologia, anche gli oli hanno inciso sulla variazione congiunturale (in ascesa), a causa dell’impatto soprattutto di olio d’oliva (+7,6%) e di olio di semi di girasole (+5,6%), così come i salumi (+2,9%): la mortadella ha frenato la corsa verso l’alto (-10,1% dopo rincari record), ma non è bastato a impedire un rincaro generale perché per il resto c’è stata una spinta verso l’alto (bresaola +5,8%, speck +4,4%, prosciutto crudo +4,3%, prosciutto cotto +3,5%). Più lieve l’incidenza della frutta (+1,2%), ma solamente perché le primizie sono scese rispetto a un mese fa (anguria -38,5% e pesche -22,4%), con tutto il resto invece più caro. In discesa i prezzi di formaggi (-0,4%), legumi (-1,9%), pesce (-3,1%), ma non lo sgombro (addirittura +31,1%), e soprattutto di ortaggi e verdure (-3,9%), ma non di tutti i prodotti (carote +11%, ciliegini +10,3%, cicorie +9,1%, ad esempio).
ANNO - Nel confronto fra i dati di maggio 2023 e quelli di maggio 2022 non ci sono sorprese: i rimbalzi sono stati diffusi con pochissime eccezioni di prodotto. Basti andare alla relativa colonna del grafico pubblicato a destra per scoprirlo: ortaggi e verdure +16,5% (carota +47%, cicorie +38,5, pomodoro ciliegino +35,1% e via via tutto il resto), frutta fresca +15% (fragole +66,2%, banane +35,9%, albicocche +28,6%, nespole +28,4%, pesche +24,4%), legumi +13,6% (piselli +21,6%, ceci +15,8%, lenticchie +12,5%), formaggi +10,4% (scamorza +18,1%, mozzarella +15,6%), pasta e pane +7% (con la pasta di farine integrali davanti a tutti: +9,9%), carne +5,2% (con tre in doppia cifra: bistecche di maiale +15,3%, ali di pollo +13%, bistecche di manzo +12,4), olio +4,4% (con olio d’oliva, +40,7%, ed extravergine, +17,3%, quest’anno decisamente più dispendiosi), salumeria +4% e pesce +0,9%. Mediamente è stato dunque necessario sborsare, a dodici mesi di distanza, l’8,6% in più. Ma è il raffronto con il 2021 che fa capire, considerando anche i salari fermi, quanto si sia eroso il potere d'acquisto delle famiglie baresi nell’arco di due anni.
BIENNIO - L’aumento di nuovi poveri (Coldiretti ha stimato che sono ormai oltre 3,1 milioni in Italia coloro i quali hanno chiesto aiuto per mangiare o hanno fatto ricorso alle mense o ai pacchi) e delle famiglie costrette a ridurre il contenuto dei carrelli per penuria di denaro sono l’effetto di prezzi ormai consolidati al rialzo: sempre considerando il paniere stabilito da Ipc, i prezzi rispetto a maggio del 2021 sono saliti di quasi il 30% (+29,2%). Insomma, se due anni fa per la spesa dei beni alimentari non lavorati (o minimamente lavorati) ci volevano 500 euro al mese, ora ce ne vogliono 650. Chi spendeva 1.000 euro, adesso ne deve sborsare 1.300. E se non ha i quattrini ha solo una alternativa: comprare meno. Risulta dunque evidente quali difficoltà economiche abbia comportato l’innalzamento dei listini non soltanto nei confronti del ceto medio, ma soprattutto dei meno abbienti (il Codacons ha stimato che solo per cibi e bevande un nucleo, a parità di consumi, spende in media 915 euro in più all’anno). Per i più esposti è infatti allo studio una card per usufruire di un bonus da quasi 400 euro.
Scorrere le percentuali calcolate dall’Ipc dà la misura della differenza evidente di costi soprattutto riguardo ad alcune tipologie di alimentari, a cominciare dagli oli (+49,7%). Di recente olio di semi vari, olio di semi di girasole e olio di mais hanno invertito la tendenza, e sono in discesa, ma solo perché avevano raggiunto picchi incredibili, mentre attualmente sono in netta ascesa l’olio d’oliva e l’extravergine, che registrano gli stessi aumenti, maturati però in momenti diversi. Ma anche pane e pasta, altri beni essenziali, hanno quasi raddoppiato il valore (+40,4%). Leggermente più indietro ci sono legumi (+37%), ortaggi e verdure (34%). Poi seguono frutta fresca (+26,2%), carni (+25,8%), pesce (+22%) e formaggi (+20,5%). Solo i salumi non hanno superato la doppia cifra (+6,9%). Ma è una magra consolazione.