La storia
Bari, condannato ginecologo che visitava in casa e in nero
Sentenza della Corte dei Conti su un medico dell’ospedale di Corato: marito di una paziente lo ha denunciato alla Finanza. restituirà 185mila euro
BARI - Un ginecologo in servizio all’ospedale di Corato, regolarmente autorizzato all’attività privata in ospedale, effettuava visite in casa, in nero. La vicenda, scoperta attraverso l’esposto presentato dal marito di una paziente, è approdata davanti ai giudici della Corte dei conti che hanno condannato il medico, Vito De Chirico, 70 anni, a risarcire la Asl con 185mila euro: ovvero l’importo dell’indennità di esclusiva che il professionista (nel frattempo andato in pensione) aveva ricevuto in busta paga.
Nel 2020 un uomo ha raccontato alla Finanza di Molfetta di aver portato la moglie nello studio privato del ginecologo, pagando 100 euro per la prima visita e 120 per la seconda, «senza il rilascio di ricevuta fiscale». I militari hanno così avviato gli accertamenti, facendo semplicemente quello che dovrebbero fare per legge le Asl: hanno acquisito le ricette compilate dal medico e le hanno confrontate con le prenotazioni delle visite effettuate tramite il Cup dell’ospedale e con i documenti fiscali emessi a seguito di attività intra-moenia.
È così emersa l’esistenza di 345 «ricette rosse» rilasciate a pazienti che non risultavano censiti, con una ulteriore irregolarità: la legge prevede infatti che in caso di attività privata intra-moenia, il medico non possa utilizzare il ricettario del servizio pubblico ma debba utilizzare la carta intestata («ricetta bianca»). I militari hanno poi sentito 41 pazienti, che hanno confermato la visita avvenuta in casa e in nero.
I risultati dell’indagine sono stati trasmessi sia alla Procura di Trani che ai giudici contabili. In quest’ultima sede il medico si è difeso sostenendo appunto di essere autorizzato, fin dal 2011, a svolgere attività privata in ospedale: i controlli (astrattamente previsti dalla legge) non avevano mai rilevato alcuna irregolarità.
E ha poi fatto presente di aver chiesto, nel 2017, l’autorizzazione a poter svolgere attività nello studio privato. Infine il professionista ha contestato non solo le dichiarazioni rese dalle pazienti, ma anche gli elementi raccolti dalla Finanza: la linea telefonica dello studio, ha detto, era stata attivata dopo la pensione, quando il medico era ormai libero di svolgere qualunque tipo di attività.
Ma i giudici contabili (presidente Daddabbo, relatore Picuno) hanno condiviso la prospettazione del sostituto procuratore generale Daniele Giannini. «I dirigenti del ruolo sanitario che hanno optato per l’esercizio della libera professione intramuraria - è detto in sentenza - non possono esercitare alcuna altra attività sanitaria resa a titolo non gratuito».
«Tra il 2012 ed il 2020 sino al mese di febbraio, coincidente con il pensionamento del De Chirico, questi ha costantemente realizzato introiti derivanti dallo svolgimento di attività medica privata, nella maggior parte delle annualità in misura anche superiore rispetto a quelli effettuati» in Alpi: nel 2016 avrebbe percepito ad esempio 11mila euro per l’attività privata fatturandone 4.340 per l’intramoenia. Una cifra che «risulta anche sottovalutata alla luce del fatto che l’attività d’indagine ha potuto concentrarsi solo su un campione di pazienti rispetto al totale delle identificate».