Dopo l'evasione
Minori in rivolta al carcere Beccaria: 7 trasferiti al «Fornelli» di Bari
In Puglia e Basilicata capienza al limite. Scarseggiano educatori e mediatori culturali
BARI - Fuga dal «Cesare Beccaria». Chissà, proprio come il celebre film girato invece ad Alcatraz, l’evasione dei baby-detenuti dal carcere minorile di Milano, passerà alla storia come la «fuga di Natale»: sette i giovani evasi il pomeriggio dello scorso 25 dicembre. Di questi, tre fuggitivi sono stati subito ripresi, uno si è costituito, gli ultimi quattro sono ancora fuggiaschi e sono tuttora ricercati. E, come se non bastasse, altri minori terribili, proprio in seguito all’evasione lombarda, hanno appiccato il fuoco all'interno di diverse celle del «Beccaria»: una sorta di rivolta che ha portato in ospedale quattro agenti della Polizia penitenziaria intossicati.
Sette dei minori rivoltosi nelle ultime ore sono stati trasferiti nell’Istituto penale per i minorenni «Nicola Fornelli» di Bari in attesa di essere smistati tra Catanzaro, Catania e Potenza. Insomma, un ulteriore aggravio per un sistema già sovraffollato.
«Il problema non è tanto il sovraffollamento delle strutture anche perché i numeri dei giovani che si trovano nei nostri istituti sono oggettivamente bassi. Da qualche tempo, invece, tutti gli Ipm del Nord sono in ristrutturazione: in quei contesti sono diminuiti le celle disponibili per l’accoglienza dei ragazzi e gli stessi minori che non trovano posto al Nord vengono smistati negli istituti del Sud». A parlare è Giuseppe Centomani, dirigente del Centro giustizia minorile di Puglia, Basilicata e Campania.
«Negli istituti del Sud, la stragrande maggioranza dei ragazzi (il 90%) era composta da italiani e, quindi, i modelli educativi-organizzativi delle strutture erano pensati e organizzati per una utenza con la quale si aveva un tipo di rapporto non reso difficile dalla differenza culturale e linguistica. Quando invece ti mandano decine di ragazzi dal Nord, spesso stranieri e doppiamente sradicati (andati via dal proprio Paese di origine e mandati via dalla città dove hanno un nucleo familiare di riferimento), questi non accettano di buon grado questa doppia migrazione. Ecco perché il loro disappunto si trasforma in protesta continua e nei vari istituti dove sono stati trasferiti al Sud (anche a Bari e a Potenza) sono stati registrati vari episodi preoccupanti (suppellettili incendiate, tentativi di suicidio e di gesti autolesivi)».
Sia nell’Istituto penale di Bari (oltre una trentina) che in quello di Potenza (una quindicina), ormai la capienza è al limite. La maggioranza dei giovani presenti sono extracomunitari, provenienti soprattutto da Marocco, Tunisia, Algeria e Senegal.
«Nelle nostre strutture di Bari e Potenza mancano non solo educatori ma, anche, sufficienti mediatori culturali. La scarsa conoscenza dei contesti culturali, ambientali e sociali di provenienza degli extracomunitari da parte degli operatori penitenziari in genere, e la difficile comprensione dei codici comportamentali, dei valori di riferimento e delle dinamiche interne alle comunità etniche, determina notevoli problemi di relazione, accentuando nel detenuto straniero il senso di isolamento, la condizione di disagio e l’afflittività della pena», spiega il dirigente Centomani.
«È difficile mediare tra soggetti italiani che hanno famiglia, affetti, prospettive di uscita e proiettati verso il reinserimento sociale e soggetti stranieri “posteggiati” in queste strutture senza alcuna prospettiva».
Dottore, da sociologo ed esperto di giustizia minorile, secondo lei cosa porta oggi il minore a delinquere?
«Una volta - spiega il dirigente del Cgm di Puglia, Basilicata e Campania - si parlava della povertà economica come base per lo sviluppo di comportamenti devianti, predatori. Oggi parliamo di una povertà complessa determinata dall’interazione di diversi tipi di povertà (culturale, educativa, relazionale, emotiva) che costringono una fascia larga di ragazzi in una condizione in cui per loro è più difficile poter accedere ai diritti che i ragazzi hanno (istruzione, crescita equilibrata, servizi) visto che non conoscono il territorio, i servizi di cui possono avere diritto e non riescono ad effettuare dei percorsi ordinari come i propri compagni più fortunati. La vera problematica è questa: c’è un sistema di servizi, a partire dalla scuola, che non è in grado di prendere in carico queste povertà che creano quelle condizioni di svantaggio di cui molti ragazzi sono portatori».