LE STORIE
La rabbia delle immigrate in Puglia: «Noi ucraini lasciati da soli»
Svetlana, un tempo gruista a Kiev, ora vive a Bari: «Non torno a casa da tre anni, temo per mia figlia»
BARI - C’è un filo robusto che unisce la non-pace e la quasi-guerra raccontata al telefono dall’Ucraina. Ed è il filo della paura per un orlo del baratro che dal Tacco d’Italia è percepito come vicino. Svetlana Nikolaienko, 50 anni, è a Bari da otto. Strabuzza gli occhioni cerulei incastonati nel volto paffuto e in una folta chioma biondastra. Poi, abbassa lo sguardo: «Mia figlia Alexandra ha 30 anni, mi dice che vuole scappare. Ha un figlio piccolo, ma non vuole fargli perdere la scuola. Vivono vicino Chercasy. È una zona non lontanissima dal Donbass e le bombe dell’altro giorno le hanno tolto il sonno. È estetista, ma ha perso il lavoro. È separata e mio genero teme di non poter rivedere più il suo bambino se lei e mio nipote mi raggiungono qui in Puglia». Svetlana lavorava alle porte di Kiev, nella zona dell’aeroporto internazionale di Boryspil: «Ero “gruista”. Qui non ci sono donne sulle gru, ma ho fatto quel lavoro per venti anni, prima di venire in Puglia. L’ho lasciato dalla sera alla mattina, ero in un cantiere che costruiva un grattacielo di 45 piani, ma non potevo andare avanti con 150 euro al mese».
L'italiano di Svetlana è fluido. Quasi scontato per chi ha origine dell’Est Europa, perché chi ha dovuto fare ginnastica grammaticale con le lingue slave abbraccia subito l’italiano: «Non è solo mia figlia Alexandra che mi preoccupa. Mia madre Nina ha 84 anni, è stata colpita da un ictus. Vive con suo fratello in una piccola città di campagna vicino Zhytomyr. Anche lì la situazione è difficile perché la Bielorussia è vicina e lì ci sono i soldati russi. Mia madre mi dice che non accende mai la tv perché altrimenti si agita. Vive con 50 euro di pensione al mese, i prezzi nelle ultime settimane sono aumentati. Un chilo di pasta costa più di un euro e cinquanta, e per comprare un litro di olio di oliva ci vogliono dodici euro. Anche l’ambulanza è a pagamento. La situazione precipita, ma io non guadagno abbastanza per aiutare mia madre e Alexandra come vorrei».
La Puglia di Svetlana non è un inferno: «Assisto una signora anziana dolcissima. Ma ha l’Alzheimer e non posso lasciarla un attimo. Non vado in Ucraina da tre anni, voglio tornarci. Non ho paura della guerra, ma della paura che ha mia figlia».
Né lì né pienamente qui: la «doppia assenza» è la condizione che unisce chiunque abbia deciso di realizzare il progetto migratorio fuori dalla famiglia d’origine. L’orlo del baratro della guerra lo rende più dannato.
«L’Ucraina deve entrare in Europa. Non siamo mai andati d’accordo con la Russia, ma questo non vuol dire che odiamo i russi. Viviamo ormai spaccati. E non solo a Lugansk e nel Donetsk, le repubbliche separatiste filorusse. In ogni città aumentano i problemi. C’è molta più aggressività su tutto. Le divisioni tra chi non la pensa come l’altro accendono scintille e litigi. Ho paura di questo. Molte sono provocazioni», ricostruisce, Olekasandr senza cognome («è un rischio»), 38 anni. D’inverno lavora come garagista in provincia di Taranto, d’estate come tuttofare in un lido gallipolino. Ha una laurea in chimica chiusa nel cassetto dodici anni fa quando ha lasciato Chernihiv per la Puglia. La sua città d’origine è a un passo dal confine bielorusso e russo: «I miei amici mi dicono che il vero problema è la tattica russa fatta di sabotaggi, attacchi informatici. Lo capiscono tutti che c’è disinformazione. Il 12 febbraio i soldati russi posizionati attorno all’Ucraina erano 147mila divisi in 87 gruppi, aeronautica e marina compresi. Non sembrano battaglioni pronti per un’ offensiva in grande stile. Però nessuno si fida perché le forze russe assieme a quelle bielorusse hanno stretto un’alleanza, la chiamano Sojuznaja rešimost 2022 (Determinazione alleata 2022, ndr). Ci tocca combattere anche contro i fratelli bielorussi del fronte Putin. Capisci che cosa fa rabbia?».
Alla Savchenko, 68 anni, ex coreografa e insegnante di ballo, lavorava in un centro culturale, nella sua Kirovohrad. L’ha lasciata nel 2001. Ha un figlio e una figlia ancora lì, è divorziata da trent’anni. «C’era un’inflazione altissima, non si poteva comprare neanche il pane. Era separata da anni e non avevo scelta. Volevo andare in Israele, mi rubarono i documenti. Un’amica mi ha aiutato a pagare i nuovi. Avevo una conoscente a Potenza e l’ho raggiunta. Sono rimasta lì quattro anni, poi mi sono trasferita a Matera. Sto bene, ho una pensione. Ma ora evito anche di uscire perché sono molto incazzata con chi prova a difendere Putin. Puoi scriverlo: è un pazzo, e con i pazzi non sai mai come va a finire». Anche il resto delle chiacchierate con altre ucraine restituisce la forte voglia di Europa e Nato. Sentimento diffuso in tutta la collettività in Puglia. Che non è piccola: con 5.872 soggiornanti (fonte: Idos 2021), l’Ucraina pugliese è quinta nella hit parade delle presenze straniere. L’anno scorso ha inviato rimesse per più di sette milioni di euro. Il 4,7% (570) è composta da studenti. Anche loro con l’anima scartavetrata dai venti di guerra.