Il «vento autonomista»

La Puglia e l'autonomia: pro e contro proposta Emiliano

Michele De Feudis

Il governatore pugliese ha avviato l'iter per avere più poteri dallo stato centrale. Ecco i rischi per il mezzogiorno

BARI - Dall’indipendentismo all’autonomismo, con una contaminazione culturale che dal Nord si è diffusa in tutte le regioni italiane. Tredici delle quindici regioni a statuto ordinario (al momento dalla tendenza restano fuori solo Abruzzo e Molise) sono indirizzate - utilizzando l’iter previsto dalla riforma dell’articolo V della costituzione, approvato nel 2001 - a contrattare con lo stato nazionale la facoltà di avere ulteriori competenze, andando nella direzione opposta rispetto al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che aveva come approdo la riforma Renzi-Boschi con un ulteriore accentramento di poteri a Roma.

Anche la Puglia nei giorni scorsi, attraverso l’approvazione in giunta di «una proposta di iniziativa per la determinazione di forme e condizioni di autonomia», «sulla base dell’art. 116 comma 3 della costituzione», ha fatto una scelta di campo pro autonomia. Il governatore Michele Emiliano ha spiegato questo orientamento politico con la motivazione di voler conferire maggiori poteri agli enti territoriali, «perché possano incidere, attraverso forme più o meno complesse di partecipazione ai processi decisionali che li riguardano e che impattano sul proprio tessuto socio – economico». Il riferimento più immediato è alle spinose contrapposizioni che in Puglia si sono materializzate per salute, ambiente e paesaggio, passando da Ilva a Tap e al caso Xylella. «Non si tratta solo di forme e condizioni particolari di autonomia, ma di lavorare perché interventi impattanti sul territorio possano essere discussi e approvati anche dalle comunità locali, con forme graduate di partecipazione ai processi decisionali», ha puntualizzato Emiliano.

Nello specifico il presidente della Puglia è convinto che trasferendo competenze e relativo budget alle Regioni, emerga una effettiva convenienza, mentre ha mostrato dubbi sull’iter legislativo (ha auspicato una legg-quadro), sulla tenuta politica finale (teme che la Lega, al dunque, come il Pd nella passata legislatura, possa accantonare la riforma). Sul piano generale, però, guarda con favore all’introduzione della «autonomia differenziata» e ha puntualizzato che con qualche potere in più (entrando nel terreno complesso dove il diritto alla salute si incontra con le scelte di politica industriale del governo nazionale), per esempio sull’Ilva, «si sarebbero evitati i decreti che hanno reso difficile persino ai magistrati bloccare gli impianti pericolosi per la vita dei dipendenti».

La novità rispetto al tempo del governo Gentiloni, è la presenza nell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte di un ministro leghista, pro autonomia, agli Affari Regionali: Erika Stefani ha già dichiarato che procederà spedita sulla strada del conferimento delle autonomie alle regioni «che ne hanno fatto richiesta». In questa direzione restano le variabili degli effetti sul Sud, territorio dove il M5S ha raccolto la maggior parte dei consensi, e del dibattito sul tema, che registra voci dissonanti, soprattutto qui in Puglia, per un cambio di sistema che potrebbe incidere su risorse e qualità dei servizi.

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