Un delitto di abbandono mentre tanti sapevano

ENRICA SIMONETTI

di ENRICA SIMONETTI

Il nome sembra quello della protagonista di una favola: Nicolina. Pure il paese, con 4mila anime, arroccato su una collina verde, sembra da favola. Il paradosso è che la favola è invece un horror, un ennesimo horror sbarcato nel nostro strano mondo, in cui pensiamo di sapere e di potere tutto. E invece, fino all’altro giorno, nulla conoscevamo di Nicolina e della sua stirpe, della mamma «volata» lontano, del padre assente, dei nonni ai quali era affidata, della casa-famiglia in cui aveva abitato e di tutte le vicissitudini da lei vissute nel breve tempo dei suoi 15 anni. Nulla si sa, perché nulla siamo e nulla facciamo. Non sappiamo dei fascicoli pendenti in qualche Tribunale per i minori, nulla di qualche assistente sociale che doveva avere in carico il caso.

Sappiamo solo che c’è una nuova black story da consumare, divorare e buttar via. Una storia in cui tutto sembra assurdo: dal fatto che una ragazzina e il suo fratellino possano essere stati lasciati nel mezzo di un pericolo di vendetta, fino al mistero di un uomo rancoroso tranquillamente fornito di pistola. Nelle favole c’è dolore, è vero, ma qui ce ne sta troppo; nelle favole c’è meraviglia, ma esiste pure un po’ di felicità. Che qui sembra invisibile.

In questa storia pugliese che ha tanto di interplanetario e nulla di esclusivamente pugliese, c’è l’ennesima beffa contro i deboli. C’è una famiglia dilaniata in una società altrettanto dilaniata: una società che perde tempo a parlare di femminicidi e di pedagogia dell’ascolto e nulla riesce a fare per fermare la mano violenta di un uomo e per sanare la mente impazzita davanti al volto aperto di Nicolina. Una ragazzina forse forte, ma indebolita dalle carenze di uno Stato che non ha potuto proteggerla nonostante fosse stata minacciata un mese fa con un coltello puntato alla pancia da chi poi le ha sparato. Una debolezza dietro l’altra: è debole un sistema sociale in cui i servizi sociali languono; è debole una famiglia che fugge ed è debole chi soccombe; è debole chi non riesce a tollerare la separazione; è debole chi adesso fa il «finto forte» insultando la madre di Nicolina su Facebook. Deboli ma violente le liti familiari che fanno da sfondo a questo caso, con le barriere di odio che serpeggiano tra le case, tra i legami, tra le incomprensioni.

La vita ha le parole che può, la fiaba ha le parole che deve. Mai fiaba e vita possono coincidere, ma a Ischitella, sembra che si riproduca quel cruento delle fiabe che Kafka già ai suoi tempi intravedeva come reale. E il disagio è accorgersi che nulla cambia, nemmeno con l’avanzare dei tempi e dei diritti. Perché l’infelice fine di una ragazzina trovatasi sola contro il nemico è un fatto moderno e antico allo stesso tempo, figlio della nostra era, così apparentemente completa e così definitivamente arresa al Nulla.

Possibile che nel 2017 Nicolina sia rimasta sola a combattere il deserto di una famiglia e di un mondo?
Le cose che si dicono dopo un delitto purtroppo finiscono per somigliarsi tutte, un po’ come le famiglie felici-infelici citate da Tolstoj. La ritualità di queste stragi familiari è ormai terribilmente «tipica»: con l’esperto che commenta, con l’inchiesta che scava, con quella piazza provinciale che diventa l’Italia affamata di noir. Un’era fa i cronisti passavano ore davanti a queste case inondate di orrore, mendicavano una foto, un ricordo, una dichiarazione. Oggi si digita un nome sfortunato su Facebook e si «rapiscono» gli istanti di una vita, con un fiume di immagini e di sorrisi da offrire per lo «spettacolo». A Specchia come a Ischitella e come in tutti questi delitti, c’è una rosa di immagini dei tempi felici, capaci di inondare il racconto orrifico delle tragedie. E queste immagini ci arrivano e ci soffocano, spezzano il racconto, distraggono dall’obiettivo: pensate, come se Shakespeare avesse fotografato Desdemona soffocata da Otello invece di descriverla... forse quella storia non sarebbe mai stata così indimenticabile.

E allora, il rischio della debordante e breve attenzione mediatica di fronte a questi orrori è quello di produrre oblìo, non memoria. Di fare casciara e non analisi. In poche parole: di continuare a ignorare Nicolina e coloro che hanno come lei una sfortunata e intensa vita. Un po’ come quelle favole onnipresenti che si sanno, si ripetono... e si dimenticano.

di Enrica Simonetti

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