Il commento

La corsa all’immunità tra furbi e fessi

Sergio Lorusso

La mancanza di unitarietà nei criteri di priorità continua a generare confusione, diatribe e perdita di fiducia nella popolazione

«I cittadini italiani si dividono in due categorie: i furbi e i fessi», ammoniva giusto un secolo fa (1921) Giuseppe Prezzolini. Oggi le cose non vanno molto meglio, se guardiamo a quanto sta accadendo da settimane per la vicenda vaccini nel nostro Paese. La mancanza di unitarietà nei criteri di priorità – conseguenza, ancora una volta, delle venti mini-Repubbliche e delle attribuzioni conferitele – continua a generare confusione, diatribe e perdita di fiducia nella popolazione.

La campagna vaccinale si è trasformata infatti in una corsa al vaccino, mediata dalla propria categoria d’appartenenza. L’inefficienza di alcune Regioni ha trasformato in un miraggio la vaccinazione delle categorie a rischio, come gli over 80, mentre – contemporaneamente – chi abita nelle Regioni “fortunate” ha già chiuso la partita con l’inoculazione di entrambe le dosi. Una discriminazione poco comprensibile dall’opinione pubblica

L’episodio più eclatante, tuttavia, è quello avvenuto nei giorni scorsi a iniziativa del sindacato dei magistrati, l’ANM, che in un comunicato ufficiale del 29 marzo ha affermato tra l’altro di ritenere discutibile il nuovo Piano strategico vaccinale nella parte in cui non attribuisce priorità ai lavoratori del comparto giustizia, ritenendoli meno importanti di altri servizi essenziali, considerando la decisione fonte di disagio e sconcerto.

Ecco, allora, l’invito ai «dirigenti degli uffici giudiziari, con la sollecitudine che la gravità del momento richiede, ad adottare, a tutela della salute, energiche misure organizzative al fine di rallentare immediatamente tutte le attività dei rispettivi uffici, senza escludere, nei casi più estremi, anche la sospensione dell’attività giudiziaria non urgente».

Non è l’unico comparto che ha suscitato polemica in queste settimane, sempre sulla base della considerazione di una sorta di “scavalcamento” delle priorità (ad es., il personale docente delle università e delle scuole di ogni ordine e grado), ma vi è una differenza in questi casi: le scelte vaccinali non condivise nascono dalle determinazioni delle Regioni che – a quanto è dato sapere – hanno agito in piena autonomia senza che alcun gruppo di pressione tentasse di condizionare la decisione. La ratio, per la scuola, era quella ora messa al primo posto dal Governo Draghi di favorire al più presto possibile il rientro nelle aule e la ripresa della didattica in presenza. Scelte sbagliate, magari, ma non imposte da nessuno a nessuno.

Nel caso della magistratura – poi ridimensionato nei toni: «Nessun ricatto, non chieste priorità per corporazione giudici», ha detto correggendo il tiro il presidente dell’ANM Giuseppe Santalucia – sembra invece emergere un aut aut, un braccio di ferro tra poteri dello Stato, davvero inaccettabile e al quale il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha reagito bruscamente, ricordando come il sindacato delle toghe già dal 18 marzo era al corrente della scelta del governo di procedere per classi di età alle vaccinazioni, così come del prolungamento dello stato di emergenza dell’attività giudiziaria fino al 31 luglio. Del resto, che dire di altre categorie come le commesse dei supermercati o gli autisti dei mezzi di trasporto pubblici?

E poi ci sono i furbetti del vaccino, tanti micro-episodi da commedia all’italiana: dal sindaco di un piccolo Comune siciliano vaccinato “a sua insaputa” il 4 gennaio scorso al noto giornalista, in origine detrattore della pandemia, che riesce di sghembo a farsi inoculare il vaccino. Alcuni tra i tanti comportamenti autenticamente prezzoliniani. Ma, naturalmente, non tutte le situazioni sono uguali. Talune fanno sorridere, altre infuriare, altre irritano profondamente, altre ancora preoccupano.
Classi di età. È il criterio, di per sé elementare, che consente di resistere alle ondate provenienti dalle più disparate categorie professionali. Criterio adottato nei Paesi anglosassoni, culturalmente distanti anni luce dallo Stivale (in Inghilterra dopo anziani, soggetti vulnerabili e personale sociosanitario si vaccina per fasce d’età). Paesi nei quali la tecnica del salto con l’asta – o senza – non è molto diffusa per farsi strada da furbi e una fila è una fila.

Qui da noi le caste, nelle loro varie declinazioni, continuano a contare. Neanche il Covid-19 è riuscito (né riuscirà) a debellarle. Siamo quasi una società post-feudale, dove a contare sono le corporazioni. Una società in mano alle persone astute, più che a quelle intelligenti. Queste ultime, come diceva causticamente Prezzolini, vengono spesso scambiate per stupide. E finiscono nelle retrovie, nonostante i fessi abbiano dei principi mentre «i furbi solo dei fini».
Anche durante la pandemia.

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