La riflessione
La ricerca delle varianti e i rigatoni all’amatriciana
I biologi spiegano che questa delle varianti è una costante nel comportamento dei virus. Per rintracciarle è necessario sequenziare il genoma virale della persona contagiata
Il nuovo incubo degli italiani si chiama varianti. Sono le diverse forme che il Covid 19 può assumere per adattarsi all’organismo umano e superare le barriere, naturali e mediche, che gli vengono opposte. In Gran Bretagna una variante sta facendo strage, non tanto perché sia più letale delle altre, ma soprattutto perché molto più contagiosa e quindi moltiplica i casi e di conseguenza il numero dei morti.
I biologi spiegano che le varianti sono una costante nel comportamento dei virus. Per rintracciarle è necessario sequenziare il genoma virale della persona contagiata, cioè individuare l’ordine con cui sono disposti i nucleotidi, cioè i «mattoni» che lo compongono. Sono state così individuate diverse varianti: da quella inglese, che ha subito goduto di grande notorietà, a quella brasiliana. Ma quante sono le varianti e quali rischi comportano per la popolazione?
La ricerca Ecco, il problema attuale è proprio questo: se le varianti non si cercano, non si saprà mai quante ne circolano e che caratteristiche hanno. Fino a oggi in Italia è stato fatto quasi nulla. Pochi istituti attrezzati si sono dedicati a sequenziare il genoma virale di persone contagiate dal Covid e, in alcuni casi, la ricerca è avvenuta in maniera inefficace. Se per esempio si va a caccia della variante inglese è chiaro che in un certo numero di casi si individuerà quella variante e si potrà dire che rappresenta una certa percentuale rispetto al totale di ammalati. In realtà bisognerebbe sequenziare il genoma virale di più persone, secondo campioni statisticamente validi, e individuare così tutte le possibili varianti esistenti in circolazione, in modo da capire in che direzione si muove il virus e che tipo di effetti produce sull’organismo.
A oggi, come risulta dal sito «Covid-19 Data portal italiano» (www.covid19dataportal.it), sviluppato dal nodo italiano dell’Infrastruttura europea Elixir per i dati biologici, questo lavoro è stato svolto bene solo in Abruzzo, un po’ meno bene in Campania e parzialmente in Puglia. In tutte le altre regioni, a cominciare da quelle ricche del Nord, che hanno a disposizione anche più laboratori e personale, non è stato fatto nulla. In Lombardia, per esempio, negli ultimi 30 giorni non risulta sequenziato alcun genoma o quantomeno non sono stati comunicati dati. E questo è un altro aspetto importante della ricerca: mettere subito a disposizione della comunità scientifica i risultati, per riuscire a disegnare in tempo reale la mappa dell’evoluzione del virus e adeguare le strategie di contrasto.
Si dirà: perché non si fa? Il problema, per una volta, non è economico: sequenziare un genoma costa circa 50 euro. Sequenziare mille casi ha una spesa di 50mila euro. Se si pensa ai 300 milioni inutilmente destinati ai banchi a rotelle o agli altrettanto inutili 8,4 milioni per 21 gazebo con la primula (quelli per le vaccinazioni), si capisce che l’obiezione economica non ha senso. Allora perché non si fa? Perché sin dall’inizio i biologi – almeno in Italia – sono stati tenuti fuori dalla stanza dei bottoni e la gestione della pandemia è stata affidata soprattutto a virologi ed epidemiologi, che sono anche la componente più forte all’interno sia nel Comitato tecnico scientifico, nato appositamente per affrontare l’emergenza Covid, sia nell’Istituto superiore di sanità. Sono i due organismi «tecnici» che stanno gestendo di fatto la pandemia. Sia il Cts che l’Iss non si limitano agli aspetti meramente sanitari: quando determinano i parametri per i colori delle regioni, autorizzano l’apertura delle scuole, vietano l’attività degli impianti sciistici, bloccano gli spostamenti fra regioni, di fatto stanno assumendo – sia pure attraverso Dpcm del presidente del Consiglio e ordinanze del ministro alla Sanità – anche provvedimenti di carattere economico e di fortissimo impatto sociale.
L’esempio degli altri Ora si sta cercando di correre ai ripari per fronteggiare il pericolo varianti. Ma come al solito siamo in ritardo su un percorso che poteva e doveva essere avviato si dall’inizio della pandemia, proprio come si è fatto in altri paesi, dove il sequenziamento costante del genoma ha permesso di individuare subito le diverse forme in cui il virus andava evolvendosi. Come spesso accade in Italia, ci lasciamo prendere dal panico e continuiamo a sbagliare andando – come già detto – a cercare una sola variante, perché magari è quella che più spaventa l’opinione pubblica, senza cercare di scoprire quali e quante sono le altre mutazioni che il virus ha intrapreso per sopraffare le nostre difese immunitarie, comprese quelle indotte dai diversi vaccini. Detto con un esempio culinario è come se i compilatori della Guida Michelin andassero a cercare tutti i ristoranti che in Italia preparano i rigatoni all’amatriciana. Alla fine direbbero che una certa percentuale di ristoranti offre quel piatto. Benissimo, ma quali sono le altre pietanze disponibili? E sono più gustose e apprezzate dell’amatriciana, oppure sono meno appetitose?
Nel nuovo governo sono stati confermati quattro ministri dell’esecutivo Conte, fra i quali anche il titolare della Sanità, Roberto Speranza. E questo forse non solo per le capacità mostrate dal giovane politico lucano, ma anche perché un nuovo ministro avrebbe comportato con ogni probabilità cambiamenti ai vertici delle varie task force, del Cts e degli organismi che guidano la sanità italiana. Ed è bene che non vi sia una «rivoluzione» in una fase delicata come l’attuale. Ma questo non significa che le miopie passate e gli errori del precedente governo – errori ammessi con onestà dallo stesso ex premier – debbano continuare anche oggi. Sarebbe opportuno che anche la politica sanitaria, alla pari del virus, avesse le sue varianti.